Il sistematico accostamento di capre e cavoli, assieme al fatto che sono gli ultimi giorni di lavoro prima delle feste, non m’incentiva a intervenire seriamente nella discussione. Giusto posso provare a buttare giù un paio di elementi.
L’Islam è una religione visceralmente politica, naturalmente collettiva. Gesù cristo era leader religioso. Maometto era un leader religioso, politico e militare. L’affermazione dell’Islam è coincisa con le conquiste di un popolo che non avrebbe mai più ritrovato i livelli di sviluppo e di contributo alla cultura mondiale conosciuti nei primi secoli.
Tutto questo rende, di per sé, inaccostabile ai paesi islamici il nostro concetto di laicismo. L’Islam è per loro il primo fattore di identità e, per questo, non può essere relegato alla sfera privata dell’individuo come nelle società occidentali, dove ha finito per prevalere la versione luterana e protestante del Cristianesimo.
Il richiamo sempre più ostinato ai precetti islamici oggi è il risultato di tanti fattori. Da un lato, la nostalgia per gli splendori di un passato idealizzato (il salafismo, per l’appunto, è il richiamo allo stile di vita degli avi – salaf – ovvero i primi discendenti di Maometto). Dall’altro, la ricerca di un’alternativa a percorsi di sviluppo (il modello occidentale, il panarabismo socialista nasseriano) che hanno fallito nel mondo arabo. Nel mezzo, c’è l’orgoglioso rifiuto delle idee di chi ha umiliato la dignità araba attraverso il colonialismo prima e una serie di politiche ciniche e assassine poi.
Breve inciso. Non esiste alcuna tendenza liberticida nel Corano, e nemmeno alcun richiamo al jihad. La versione “reazionaria” dell’Islam è stata introdotta, sulla base di alcuni hadith (per semplificare, le parabole di Maometto e dei suoi primi eredi) interpretati in maniera molto estensiva, durante il califfato degli omayyadi come strumento di ordine e di conservazione del potere. Anche la Chiesa ha avuto simili passaggi, protrattisi per secoli (le Crociate, le inquisizioni, i giordanobruno al rogo). Solo che il mondo occidentale, con il suo sistema di stato-nazione e sulla spinta della rivoluzione industriale, ha vinto l’appuntamento con la storia e ha potuto evolversi plasmando, al contempo, il mondo a propria immagine e somiglianza. Lo stesso appuntamento gli arabi lo hanno perso perché l’impero ottomano, ultima sublimazione politica di quell’entità lanciata da Maometto, aveva gli stessi difetti che sono rintracciabili nel carattere di qualunque società araba: la corruzione, le divisioni tribali, il ripudio del lavoro manuale. Questa sconfitta – unita alle successive umiliazioni politiche subite - ha chiuso il mondo arabo in se stesso, nelle proprie paure, nel rigetto del cambiamento.
Detto questo, ogni paese arabo fa storia a sé. Non esiste un’idea condivisa sulla punizione dell’omosessualità, né una sul ruolo della donna. In generale, la tendenza a sorpassare l’avversario politico verso destra (ovvero verso una più rigida manifestazione di rigore religioso) porta un po’ tutti i governi a palesare il proprio rispetto dei precetti di tredici secoli fa. Questa tendenza viene accentuata dal fatto che oggi il wahhabismo, ovvero la rigida applicazione dei dettami islamici proposta dall’Arabia Saudita, è sempre più promosso a livello regionale grazie al quantitativo spropositato di petroldollari utilizzati a tal fine dai sauditi. Ma esistono anche tanti esempi di libertà e di rispetto dei diritti umani che si concilia senza problemi con l’Islam (la Turchia, il Libano, parzialmente il Marocco). Un mio amico gay ha vissuto tre anni in Egitto, campando benissimo e chiavando a pazzi.
La morale, insomma, è che fare di tutta un’erba un fascio è - come sempre – quanto di più fuorviante ci sia, e che l’equazione secondo cui Islam e diritti civili non siano conciliabili è assolutamente senza fondamento.