In Italia la crisi è più tangibile perché la produzione cinematografica non ha mai avuto una vera connotazione industriale essendo per lo più basata sui fondi statali gestiti dalla storica sezione di BNL e dal mecenatismo dei grandi produttori storici. Il secondo è definitivamente morto con tangentopoli, mentre ormai i rubinetti statali sono ridotti a uno stillicidio iniziato nel 2004 con la legge Urbani e culminato negli ultimi interventi di Saccomanni sul tax credit.
Ora anche i produttori più forti puntano quasi tutti su un solo cavallo all'anno e su una serie di produzioni low cost, tipo gli horror horribili in salsa mmerecana che fa il cinepanettaro.
Il cavallo in Italia oggi è Checco Zalone, Verdone ecc.
E' l'unica gente che si busca la paga e porta la gente in sala.
Ergo, siamo alla frutta, e lo stesso Sorrentino, che io non apprezzo, ha l'attenuante di fare brutti film anche perché con le major si ha le mani legate (mi riferisco soprattutto al vergognoso This must be the place).
Riguardo il decadimento culturale pure siamo un caso assai particolare, perché abbiamo buttato nel cesso una tradizione meravigliosa di cinema popolare di qualità ed il contributo di maestri come Monicelli, Steno, Germi, Risi, Petri , Loy ecchippiuneha piùnemetta.
Non solo il berlusconismo ed il yuppismo frenetico degli anni 90, ma anche e soprattutto chi vi ha lasciato il campo, ritirando la qualità come una secca d'acqua e riducendola a intellettualismo patacca, a imitazione edulcorata e masturbazione.
Si è creata una linea di demarcazione ampissima tra cinema di qualità perlopiù elitario e referenziale, e cinema popolare spazzatura (disimpegno, multiplex, rutto e pizza).
L'ultimo di Sorrentino per me è un figlio di questo vizio, infatti La grande bellezza è un film di plastica, tappezzeria da salotto, e chi lo paragona a La dolce vita per qualsiasi motivo si merita le sputazzate in faccia.