Solo perché sono stato invitato a giocare a palla con voi, provo a fare un po' di chiarezza.
Alla base di questa operazione ci sono due fattori.
Il primo è la scarsa esperienza e capacità diplomatica dell'Amministrazione Obama e del Dipartimento di Stato. Gente che non si era mai trovata ad affrontare crisi internazionali, perché quella libica era una situazione di assai più facile lettura. Un errore è stato quello di chiudere completamente le porte ad Assad, cosa che ha impedito finora di trovare una qualunque soluzione politica (ché Assad mica è fesso? Che cosa gli viene promesso in cambio della sua uscita di scena?). Un errore ancora più grosso è stato quello di tracciare la benedetta red line delle armi chimiche. Perché una volta emersa la faccenda del gas sarin (una vicenda peraltro assai controversa, che se volete approfondiamo più tardi) gli Stati Uniti non avrebbero più esimersi dall'intervenire in un conflitto che mai e poi mai - sia chiaro - Obama avrebbe voluto affrontare. Perché non rispettare la propria parola significa dare un messaggio di debolezza non solo al regime siriano, ma anche a quello iraniano, a quello nordcoreano, eccetera.
Il secondo fattore è la pressione internazionale. Non parlo di quella esercitata da Francia e Gran Bretagna, che vogliono tornare a giocare un ruolo quasi "neocolonialista" a est di Suez ma che nello scacchiere geopolitico mondiale contano oggi quanto il due di picche. Parlo di quella di due attori molto più influenti negli Stati Uniti: Israele e Arabia Saudita. Perché e come.
Israele ha deciso che la caduta di Assad è da preferire a qualsiasi altro scenario possibile (nessuno dei quali è comunque esaltante) da quando Hezbollah è entrata a gamba tesa nel conflitto siriano. Tra marzo e aprile hanno varcato il confine circa 10 mila uomini delle milizie sciite libanesi, i quali hanno quasi da soli permesso ad Assad di riconquistare alcuni punti strategici fondamentali per la sopravvivenza del regime. Netanyahu, vista la cosa, dev'essersi parecchio preoccupato: gli ebraici considerano Hezbollah il principale pericolo per la loro sicurezza e, probabilmente, non avevano manco idea di quanto fossero cresciuti militarmente negli ultimi anni. La Siria è un tassello fondamentale dell'asse sciita che va dall'Iran a Hezbollah. Da qui passano le armi che Teheran dà ai libanesi. Israele, rompendo questo asse, sa di poter far male sia a Hezbollah che all'Iran. Tutti, poi, avete un'idea di quanto la lobby ebraica sia influente a Washington. E vi basti pensare che, molto probabilmente, le prove dell'attacco chimico del 21 agosto sono stati forniti agli Stati Uniti proprio dall'intelligence israeliana.
L'Arabia Saudita vuole far fuori Assad sin dall'inizio della ribellione. Qui si parla della secolare partita per l'egemonia politica ed economica nel Medio Oriente: da un lato le potenze sunnite del Golfo, dall'altro l'asse sciita di cui parlavamo prima. I sauditi vogliono rovesciare il regime siriano per togliere al rivale Iran il suo unico alleato nella regione. Le pressioni su Washington affinché si aumentino gli aiuti militari ai ribelli siriani vanno avanti da due anni. Quest'estate, però, è successo qualcosa: ha abdicato l'emiro del Qatar, al Thani, per motivi di salute. Qatar e Arabia Saudita sono da qualche anno acerrime rivali. Perché entrambe, facendo leva sui petroldollari (e nel caso del Qatar anche sul potere mediatico di al-Jazeera) vogliono imporre la propria influenza sull'Islam sunnita. Questa rivalità si gioca anche in Egitto (i sauditi sostengono l'esercito, i qatarioti i Fratelli Musulmani) e in Siria nel sostegno ai ribelli (i sauditi alcune fazioni dell'opposizione, i qatarioti altre). Così, quando è venuto via la principale mente dell'aggressiva politica estera del Qatar, l'Arabia Saudita ne ha approfittato per imprimere una svolta agli eventi. Al Cairo ha finanziato il golpe militare di al-Sisi. A Washington ha aumentato il proprio grado di pressione sugli americani attraverso due personaggi: il capo dell'intelligence, Bandar bin Sultan, e l'ambasciatore saudita in America, Adel al-Jubeir. Quest'ultimo gli iraniani avevano tentato di ammazzarlo un paio di anni fa a Washington.
Il quadro è questo. Obama vorrebbe fare solo un'operazione "punitiva" per levarsi un po' di merda dalla faccia e mostrare di tener fede alla propria parola nei confronti dei ribelli siriani. Gli alleati vorrebbero imbastire una campagna per favorire la caduta di Assad e recuperare la Siria prima che finisca totalmente nelle mani di al-Nusra e altri gruppi islamisti. L'Italia se ne tiene fuori. Perché nonostante le pressioni siano tante anche per noi, il Pdl e molti membri del governo (Letta, Mauro) sono troppo legati al Vaticano. Il quale ha preso posizione molto nettamente contro l'intervento militare perché in Siria i cristiani sono schierati dalla parte di Assad. E se questo dovesse cadere, vi assicuro che non sarebbe piacevole avere a che fare coi barbuti incazzati.