Ho ascoltato con attenzione il discorso di Biden. Poco da dire, è stato l'intervento più importante dalla fine della Guerra Fredda a oggi. La caduta dell'Afghanistan e il rigetto del modello occidentale (che si supponeva fosse quello perfetto, combinando democrazia e capitalismo) arriva in concomitanza con altri due eventi: la pandemia da un lato e l'allargamento della forbice sociale dall'altro. Gli Stati Uniti hanno definitivamente messo da parte il delirio andato in onda per un trentennio dopo la caduta dell'Unione Sovietica, in cui hanno sostanzialmente fatto un monologo con il mondo intero ad ascoltare. Appaiono oggi come un Paese fragile, dilaniato dalle divisioni interne (oh, sei mesi fa c'è stato un mini-golpe), senza una classe dirigente e totalmente alle mercé dei gruppi di potere che lo stanno divorando dall'interno. E con un competitor spietato che si comporta da vero e proprio bug del sistema che loro stessi hanno creato, la Cina. Sebbene rimanga ancora il primo attore geopolitico su scala mondiale, è chiaro che non è più nelle condizioni di poter giocare al poliziotto imperialista come nel periodo che va da Bush padre a Obama. Da un certo punto di vista la mazzata in Afghanistan è ancora peggio del Vietnam, visto che sono stati sconfitti non in uno scontro grosso modo simmetrico, ma proprio dalla storia.
Ora è chiaro che questo vuoto di potere sarà in parte colmato, la Cina lo farà a modo suo e perciò è arrivato davvero il momento di fare le cose serie in Europa lasciando perdere le puttanate sul libero mercato, altrimenti noi siamo i prossimi.