Qui la juventinità non c'entra niente.
Il problema è alla radice dell'ormai ignobile cultura italiota.
Che poi i gobbi siano ridicoli infami è risaputo da ben prima di questa infamia.
Io aggiungo questo alla discussione:
Santini ovunque e tapparelle chiuse
Sandra piange: "Ora come ne esco"
La sedicenne è disperata: "Mi sono inventata la violenza perché temevo la reazione dei miei genitori, voglio che mi stiano vicino. Ma la cosa che desidero di più è parlare con il mio amore"
di ERICA DI BLASI
"E' di là, nella sua stanza". Pochi metri quadri, Sandra, il nome è di fantasia, è sdraiata su un divano letto. Una felpa marrone scuro e sotto una magliettina rosa. Le gambe sono nascoste dalle coperte, sta rannicchiata su sé stessa, come se cercasse di proteggersi dagli altri. Ha pianto, si vede. Quasi non parla. Sussurra, impaurita: "Come ne esco? Adesso come ne esco?". Non pensa ad altro. Tiene lo sguardo basso, la testa fra le braccia, i capelli da angelo che le fanno a sua volta da scudo. Una ragazzina, che per nascondere la sua prima volta si è inventata la storia di uno stupro. Perché? "Avevo paura, paura di dirlo a casa".
Ai suoi genitori non piace il ragazzo di cui si era invaghita. "Più volte ti avevamo detto di lasciarlo stare quello lì, e tu invece". Difficile nascondere l'accaduto: le visite mensili dal ginecologo non lasciavano scampo a Sandra. "Ha giurato a sua nonna che sarebbe arrivata pura all'altare", ripeteva sua madre quando ancora girava la storia della violenza subita. E adesso che la verità è arrivata, tutti i riflettori sono puntati su Sandra. In casa è un viavai di parenti e amici, vuoi per consolare i genitori, vuoi per cercare di capire e confortare quella che in fondo è una ragazzina di 16 anni. I cellulari continuano a squillare. La madre, in lacrime, dice: "Ora come faccio, ora cosa dirò alla gente di qui, non potrò più uscire di casa. Posso solo chiedere scusa". E il fratello, che ha già pubblicato su Facebook un post per spiegare cosa è successo agli amici e al quartiere, cerca di rassicurarla: "Non ti preoccupare mamma". Le risposte arrivano, di tutti i generi.
Anche Sandra non sa cosa fare: "Ho sbagliato, l'ho capito". Piange nel buio di quelle quattro pareti arancioni: al posto dei manifesti, i santini. In casa sono tutti credenti. In salotto, tra l'acquario con i pesci rossi, le foto di famiglia e gli addobbi di Natale, ci sono altri santini, una stella di Davide dipinta sul muro e poi un'immagine del Sacro Cuore di Gesù. "Siamo di Chiesa", dice il padre, da due anni senza lavoro e che va avanti grazie anche alla San Vincenzo.
Nella stanza di Sandra le tapparelle sono tirate giù quasi a voler nascondere la vergogna. "E adesso cosa diranno di me? Cosa penserà la gente?". In salotto c'è chi dà consigli, chi consola la madre in lacrime, chi dice che è tutta colpa del ragazzo. Sandra non riesce quasi più a guardare in faccia i genitori. "Ma vorrei averli vicino, è la cosa che desidero di più, davvero". Dietro la sua bugia, la paura. "Di essere picchiata per quello che avevo fatto. Che non ero più vergine". Una prima volta sbagliata, ma dettata dall'amore, glielo si legge negli occhi. "Adesso vorrei solo poter parlare con lui, davvero è la cosa che desidero di più". Critiche, i suoi pensieri si offuscano di nuovo: "Non so davvero come uscirne da questa storia. Mi sento sola. Che faccio?".
Le immagini dei telegiornali la riportano a quanto accaduto al campo nomadi: le fiamme, i vetri distrutti, la violenza che prevale sul buonsenso. "Non pensavo che potesse succedere questo, è terribile pensare che abbia scatenato io tutto quest'odio". Tra amici e parenti c'è chi si offre di accompagnarla alla Continassa affinché veda lo scempio che ha provocato la sete di vendetta. "Ma non gliel'abbiamo chiesto noi di fare quello. Non siamo stati noi", continua a ripetere la madre. "Non volevo che succedesse - si aggiunge Sandra - non so perché ho dato la colpa agli zingari. È stata la prima cosa che mi è venuta in mente. Vorrei chiedere scusa a un sacco di persone, ma non so come fare". Il suggerimento di una lettera le piace, ma non ce la fa a scrivere. Le mani le tremano, sono sudate per la tensione: meglio dettarla. Poco per volta le parole le escono. È un lungo elenco di persone a cui ha mentito e con cui vorrebbe scusarsi: il suo fidanzatino, le amiche, la gente del quartiere, compagni di classe, parenti e, non ultimi, i nomadi che vivono al campo della Continassa.
"Scusatemi se potete, io questa brutta storia me la voglio solo dimenticare. Ammesso che ci riesca". Ora forse lascerà tutto questo per un po': "Non ti preoccupare mamma, la mandiamo a Roma - dice il fratello - così si sistema tutto". Ma Sandra dovrà parlare di questa storia anche con i giudici del tribunale di minori: rischia di dover rispondere di procurato allarme e simulazione di reato.
A voi le conclusioni.