Il crollo di una fattoria collettiva in Ungheria verso la fine del comunismo. In molti sono decisi a partire con il denaro che riceveranno per la chiusura della comunità ma sentono che il carismatico Irimias, dato per morto due anni prima, sta tornando.Dei buoi escono da una stalla. I fattori li hanno venduti in cambio di denaro per il quale litigheranno: è l'inizio dell'opera e, simbolicamente, della transizione dal comunismo al capitalismo nella puszta ungherese. Non v'è però nostalgia per i tempi andati, l'atmosfera è talmente funesta da non lasciar intendere la preesistenza di una condizione migliore. I personaggi popolano una realtà desolata, da wasteland eliotiana: il moto circolare della Storia si è arrestato (non a caso la struttura del film richiama i passi del tango: sei in avanti, sei indietro...), non si intravede alcun conforto all'orizzonte, tuttalpiù la fine del mondo.
Gli abitanti della fattoria si muovono, ma quasi per inerzia. Non c'è volontà, non c'è spirito. Si consegnano inconsapevolmente al proprio destino, stritolati nella morsa generata dal cinismo del potere e dalla speranza nell'intervento di un Dio assente (si odono campane, ma il campanile è crollato...). Gli unici ad avere la lucidità di chiamarsi fuori sono i più emarginati: un vecchio e una bambina che pronunciano il loro definitivo "no" al mondo circostante dopo averlo scrutato da una finestra.
Lo stile di Tarr è inequivocabile: tanta improvvisazione (celebre la scena di ballo al bar, con gli attori realmente ubriachi), piani sequenza interminabili (11 minuti, la durata di una bobina... lo stacco è obbligato) coi quali il regista descrive la scena come il migliore dei romanzieri, lasciando addirittura scivolare fuori campo gli attori. Quest'esplorazione degli ambienti consente allo spettatore di abitare il film ma non di ottenere l'onniscienza: gli viene confidato ogni aspetto della realtà fattuale ma l'interiorità degli uomini resta celata dietro i loro volti sofferenti. Solo in un caso si butta l'occhio oltre la superficie corporea, consentendo di spiare i sogni di ognuno di essi, ma si tratta di allegorie, tutte da interpretare.
Tra i numerosi momenti di grande cinema, alcuni sono indimenticabili: i primi episodi, nei quali gli intrighi del villaggio sono ricostruiti sposando prospettive diverse; la deprimente tortura di 20 minuti della bambina ai danni di un gatto e quanto ne consegue (che giustifica tanta prolissità); la scena finale; in generale, la capacità di Tarr di evocare il soprannaturale senza mai coinvolgerlo realmente nella narrazione.
Un regista immenso.
Voto: *****