Autore Topic: Crisi economica mondiale [topic generale]  (Letto 21376 volte)  Share 

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Offline Full-of-lutamma

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Re:Crisi economica mondiale [topic generale]
« Risposta #60 il: 10 Settembre, 2011, 12:25:08 pm »
Comunque in merito alla questione pareggio del bilancio...si tratta di avere bene presente cosa sarà il futuro. Gli Stati americani possono contrarre debito non oltre una certa soglia oltre la quale si mettono in moto delle leggi federali volte a ridurre e rientrare. Ora si l'Europa è vecchia, ha millemila anni di storia ecc.ecc. però credo sia giunto il momento di lasciare i nazionalismi da parte ed affidare alcune questioni ad un ente sovra-nazionale...ovviamente a rappresentanza democratica. La questione è che già esiste ma è pieno di polvere. La Storia ci chiede di unirci ancor di più, di formare un corpo ancora più stretto e comunicante per non finire nell'oblio. Illuso è che pensa che la sfida nei confronti di 3 miliardi di persone in Asia si vinca facendoci i fatti del nostro orticello. Manna dal cielo sarebbe una Unione Europea veramente unita, con una politica estera comune, fiscalità comune e sistema giudiziario su alcune faccende comune. Magari ai crucchi che sono quelli che rompono le palle con il loro uber alles gli costruiamo la nuova Capitale federale in mezzo a una di quelle foreste che hanno loro e per farli contenti la chiamiamo Beckembauer.


 

Offline nickwire

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Re:Crisi economica mondiale [topic generale]
« Risposta #61 il: 10 Settembre, 2011, 13:02:14 pm »
uagliù, detto in parole povere: per risanare non puoi solamente togliere risorse lì dove vengono sprecate, altrimenti negli anni il problema si ripresenterà ancora e ancora. quindi devi anche investire: far girare l'economia, aumentare i consumi ecc. in questo modo aumenti la base imponibile e ti finanzi il risanamento a medio e lungo termine. nel momento in cui imponi il pareggio di bilancio impedisci, di fatto, la possibilità di investimenti. e ricadi nel primo caso in cui perdi tutto, diventi schiavo.

e verimm si na vota tant full_of_ ammette di pensare stronzate.

gli piace cedere al ricatto di marchionne
gli piace cedere al ricatto dei diritti TV
gli piace cedere al ricatto della BCE

ma foss nu poc ricchion? o è uno di loro?  :look:


Il punto è che in italia servono 40 miliardi di euro. Ed in brevissimo tempo.

Il punto è che ci stanno dei caimani che stanno cercando di portare i BTP a tassi enormi giocando sulla domanda a fronte di un offerta di titoli che sembra essere costante.

Per risolverla bisogna comprimere l'offerta, e quindi: pareggio di bilancio e patrimoniale. Non è questione ideologica (che io non condivido) ma necessità.

Il pareggio di bilancio come idea di finanza neutrale è n'ata cos. Ca stamm chè pezz ncul.

Il punto è che se si continua a far operare certa gente in regime fortemente speculativo, si finisce in questioni come questa.

Che vuoi risanare con politiche che nel tempo minore possibile hanno effetto dopo 3 o 4 anni?
Oltre al fatto che con l'aria che tira, chi si mette a fare investimenti a redditività incerta? Sempre se c'è ancora redditività in qualche settore di investimento eh...
« Ultima modifica: 10 Settembre, 2011, 13:05:05 pm da nickwire »

Offline Full-of-lutamma

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Re:Crisi economica mondiale [topic generale]
« Risposta #62 il: 10 Settembre, 2011, 13:10:40 pm »

Il punto è che in italia servono 40 miliardi di euro. Ed in brevissimo tempo.

Il punto è che ci stanno dei caimani che stanno cercando di portare i BTP a tassi enormi giocando sulla domanda a fronte di un offerta di titoli che sembra essere costante.

Per risolverla bisogna comprimere l'offerta, e quindi: pareggio di bilancio e patrimoniale. Non è questione ideologica (che io non condivido) ma necessità.

Il pareggio di bilancio come idea di finanza neutrale è n'ata cos. Ca stamm chè pezz ncul.

Il punto è che se si continua a far operare certa gente in regime fortemente speculativo, si finisce in questioni come questa.

Che vuoi risanare con politiche che nel tempo minore possibile hanno effetto dopo 3 o 4 anni?
Oltre al fatto che con l'aria che tira, chi si mette a fare investimenti a redditività incerta? Sempre se c'è ancora redditività in qualche settore di investimento eh...

Tutto giusto. Anche se preferirei fare tagli invece di una patrimoniale che da mazzate alla cecata a tutti. L'unico appunto che mi sento di fare è che purtroppo la cifra di 40 miliardi ogni giorno che passa aumenta sempre più riducendo gli spazi di manovra :(


 

Offline nickwire

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Re:Crisi economica mondiale [topic generale]
« Risposta #63 il: 10 Settembre, 2011, 13:12:09 pm »
Comunque in merito alla questione pareggio del bilancio...si tratta di avere bene presente cosa sarà il futuro. Gli Stati americani possono contrarre debito non oltre una certa soglia oltre la quale si mettono in moto delle leggi federali volte a ridurre e rientrare. Ora si l'Europa è vecchia, ha millemila anni di storia ecc.ecc. però credo sia giunto il momento di lasciare i nazionalismi da parte ed affidare alcune questioni ad un ente sovra-nazionale...ovviamente a rappresentanza democratica. La questione è che già esiste ma è pieno di polvere. La Storia ci chiede di unirci ancor di più, di formare un corpo ancora più stretto e comunicante per non finire nell'oblio. Illuso è che pensa che la sfida nei confronti di 3 miliardi di persone in Asia si vinca facendoci i fatti del nostro orticello. Manna dal cielo sarebbe una Unione Europea veramente unita, con una politica estera comune, fiscalità comune e sistema giudiziario su alcune faccende comune. Magari ai crucchi che sono quelli che rompono le palle con il loro uber alles gli costruiamo la nuova Capitale federale in mezzo a una di quelle foreste che hanno loro e per farli contenti la chiamiamo Beckembauer.

Si, ma non hai individuato i problemi.

Quale impostazione dai ad un'eventuale BCE? Tedesca o Francese?

Chi stabilisce i debiti, con quale ripartizione, con quali criteri? Con quali tasse si pagano gli interessi? Un paese come il Belgio cosa dirà? Cioè esistono investitori che hanno appena sottoscritto BTP trentennali, che gli dici?

In linea di massima sono d'accordo. Ma fattivamente?


Offline Full-of-lutamma

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Re:Crisi economica mondiale [topic generale]
« Risposta #64 il: 10 Settembre, 2011, 13:13:01 pm »
Tutto giusto. Anche se preferirei fare tagli invece di una patrimoniale che da mazzate alla cecata a tutti. L'unico appunto che mi sento di fare è che purtroppo la cifra di 40 miliardi ogni giorno che passa aumenta sempre più riducendo gli spazi di manovra :(

Comunque la questione speculazione c'entra ma non credo al 100%. Nonostante il divieto di vendite allo scoperto qua si continua a scendere a botte di 5%, sono proprio gli investitori che se ne stanno andando. Ed ovviamente arrivano gli sciacalli, ma solo perché trovano terreno fertile, imho. Che brutta fine stiamo facendo.  :fuga:


 

Offline nickwire

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Re:Crisi economica mondiale [topic generale]
« Risposta #65 il: 10 Settembre, 2011, 13:17:55 pm »
Tutto giusto. Anche se preferirei fare tagli invece di una patrimoniale che da mazzate alla cecata a tutti. L'unico appunto che mi sento di fare è che purtroppo la cifra di 40 miliardi ogni giorno che passa aumenta sempre più riducendo gli spazi di manovra :(


Tagli a cosa? Vuoi aumentare finanziarizzazione e margini imprenditoriali di rischio, fasce di mercato, in una situazione in cui è impossibile chiedere somme a prestito?
Oltre a deprimere ancora di più il consumo aggregato. Lo fece la Thatcher dopo i '70, che ha risolto?


In questioni come questa esistono due mezzi di finanziamento straodrinari della spesa pubblica: debito pubblico o patrimoniale. Di lì non ci si muove. Lo diceva già Ricardo 130 anni fa.

Offline Full-of-lutamma

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Re:Crisi economica mondiale [topic generale]
« Risposta #66 il: 10 Settembre, 2011, 13:48:35 pm »

Tagli a cosa? Vuoi aumentare finanziarizzazione e margini imprenditoriali di rischio, fasce di mercato, in una situazione in cui è impossibile chiedere somme a prestito?
Oltre a deprimere ancora di più il consumo aggregato. Lo fece la Thatcher dopo i '70, che ha risolto?


In questioni come questa esistono due mezzi di finanziamento straodrinari della spesa pubblica: debito pubblico o patrimoniale. Di lì non ci si muove. Lo diceva già Ricardo 130 anni fa.

Tagliare gli sprechi che sono tanti. Io non voglio assolutamente toccare pensioni degli anziani e stipendi pubblici, ma evitare che la politica e la macchina statale ci costi 50 mil di euro l'anno più altri soldi non rintracciabili mi sembra il minimo da fare in questo periodo. Io voglio semplicemente tagliare sprechi e privilegi, e magari in mezzo mettiamoci pure in vendita qualche bene dello Stato. L'Eurpa questo ci aveva chiesto in parole povere, ma sti politici hanno fatto orecchie da mercante.

Sul tuo precedente post condivido con te questi dubbi di natura "tecnica". Parlando per parlare, la BCE farebbe capo ad un organismo "federale" che nulla ha che vedere con i singoli stati, quindi la possibilità di favorire l'uno o l'altro risulterebbe proprio impossibile per funzioni e compiti. Sulla questione BTP è vero. E' un grosso scoglio. Ma si può ritrattare....chi ha BTP ha trent'anni e si ritrova o con un default o con il ritorno alla lira che farà?

I debiti. Sulla questione io appoggio l'idea tedesca che è molto semplice. Loro ci danno una mano, si accollano anche i nostri debiti ma a decidere del destino economico nostro poi non saremo più noi, dato che non ne siamo stati in grado. Alla fin fine le garanzie sacrosante che chiedono non siamo in grado di garantirle, quindi ben venga una organizzazione sovranazionale, quanto più democratica possibile a far uscire il sangue dai denti a chi se ne è fregato di essere rigoroso. Però si deve fare, e non bisogna lamentarsi. Si parla di uscire dall'Euro, ma quando ci assumeremo come popolo le nostre responsabilità??? Mo è colpa dell'euro se in Italia evadono tutti, c'è una corruzione da sud america e la gente che votiamo ci prende solo in giro??? Torna la Lira e magicamente tutto si aggiusta?


 

Offline nickwire

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Re:Crisi economica mondiale [topic generale]
« Risposta #67 il: 10 Settembre, 2011, 14:13:06 pm »
Tagliare gli sprechi che sono tanti. Io non voglio assolutamente toccare pensioni degli anziani e stipendi pubblici, ma evitare che la politica e la macchina statale ci costi 50 mil di euro l'anno più altri soldi non rintracciabili mi sembra il minimo da fare in questo periodo. Io voglio semplicemente tagliare sprechi e privilegi, e magari in mezzo mettiamoci pure in vendita qualche bene dello Stato. L'Eurpa questo ci aveva chiesto in parole povere, ma sti politici hanno fatto orecchie da mercante.

Sul tuo precedente post condivido con te questi dubbi di natura "tecnica". Parlando per parlare, la BCE farebbe capo ad un organismo "federale" che nulla ha che vedere con i singoli stati, quindi la possibilità di favorire l'uno o l'altro risulterebbe proprio impossibile per funzioni e compiti. Sulla questione BTP è vero. E' un grosso scoglio. Ma si può ritrattare....chi ha BTP ha trent'anni e si ritrova o con un default o con il ritorno alla lira che farà?

I debiti. Sulla questione io appoggio l'idea tedesca che è molto semplice. Loro ci danno una mano, si accollano anche i nostri debiti ma a decidere del destino economico nostro poi non saremo più noi, dato che non ne siamo stati in grado. Alla fin fine le garanzie sacrosante che chiedono non siamo in grado di garantirle, quindi ben venga una organizzazione sovranazionale, quanto più democratica possibile a far uscire il sangue dai denti a chi se ne è fregato di essere rigoroso. Però si deve fare, e non bisogna lamentarsi. Si parla di uscire dall'Euro, ma quando ci assumeremo come popolo le nostre responsabilità??? Mo è colpa dell'euro se in Italia evadono tutti, c'è una corruzione da sud america e la gente che votiamo ci prende solo in giro??? Torna la Lira e magicamente tutto si aggiusta?

Permettimi, ma non puoi recuperare 40-50 miliardi di euro in pochi mesi tagliando gli sprechi. Se vuoi intervenire sulla spesa pubblica,
PER FORZA devi eliminare o sistema sanitario nazionale o sistema previdenziale, almeno per come lo conosciamo oggi. Come sta facendo, fallendo, la Grecia.

Rilancio sui tecnicismi: per far fronte a disavanzo, in caso di "debito federale" uno stato come dovrebbe finanziare la spesa pubblica? Con quali modalità? Chi è preposto a concedere cosa? Coin quali velocità?



Offline kurz

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Re:Crisi economica mondiale [topic generale]
« Risposta #68 il: 10 Settembre, 2011, 14:16:11 pm »
Uno “standard retributivo” per tenere unita l’Europa


La crisi europea non è finita: la divergenza tra i costi del lavoro per unità prodotta sta alimentando squilibri potenzialmente letali per l’Unione monetaria. Occorre uno “standard retributivo” per ridurre lo sbilanciamento tra paesi in surplus e paesi in deficit commerciale. L’interesse generale all’unità europea coincide con gli interessi dei lavoratori, siano essi tedeschi, italiani o greci.

Sembrano lontani i tempi in cui Olivier Blanchard e Francesco Giavazzi (2002) consideravano l’ampliamento degli squilibri commerciali tra paesi europei un sintomo virtuoso della maggiore integrazione finanziaria della zona euro. Da qualche anno la loro tesi appare superata, e va invece diffondendosi tra gli studiosi una chiave di lettura molto meno rassicurante degli sbilanciamenti nel commercio intra-europeo. Stando a questa interpretazione alternativa la crisi dell’unità europea non può banalmente derivare da finanze pubbliche fuori controllo ma sembra piuttosto essere associata a un problema di indebitamento complessivo, sia pubblico che privato, e in particolare a uno squilibrio nei rapporti di debito e credito tra i paesi membri dell’Unione. Più precisamente si ritiene che la crisi sia alimentata da una profonda asimmetria tra economie forti ed economie deboli dell’area, che determina surplus crescenti soprattutto per la Germania a fronte di deficit commerciali sistematici per i paesi “periferici” dell’Unione. Numerosi analisti iniziano in questo senso a temere che lo squilibrio tra paesi in surplus e paesi in deficit con l’estero possa rivelarsi un grave fattore di instabilità e una potenziale minaccia per la tenuta futura dell’Unione monetaria.[1] Persino il Consiglio e la Commissione europea, solitamente riluttanti sul tema, hanno iniziato a riconoscere che uno squilibrio eccessivo nei commerci intra-europei accresce l’instabilità e il rischio di nuove crisi.

Ma quali sono le cause degli squilibri commerciali interni alla zona euro? Per quale motivo la Germania continua ad accumulare surplus mentre Grecia, Irlanda, Italia, Portogallo e Spagna tendono sistematicamente al deficit nei conti con l’estero? Limitarsi ad affermare che i paesi “periferici” spendono troppo mentre la Germania spende troppo poco è tautologico. Più interessante ci sembra la tesi secondo cui gli attuali scompensi commerciali sarebbero almeno in parte da imputare ad una divergenza tra i costi del lavoro per unità prodotta dei vari paesi dell’Unione. E’ questa una interpretazione di cui si discute da tempo e che raccoglie il parere favorevole di svariati esperti. Di recente tuttavia Charles Wyplosz (2011) ha respinto con risolutezza questa spiegazione. L’economista del Graduate Institute di Ginevra riconosce che dal 1999 ad oggi in Germania i salari sono cresciuti pochissimo rispetto alla produttività, per cui il costo unitario del lavoro si è ridotto e la competitività è aumentata rispetto agli altri paesi. Egli però aggiunge che il cambiamento relativo dei costi unitari non ha quasi mai superato i dieci punti percentuali. Data la bassa elasticità delle bilance commerciali ai costi unitari, Wyplosz arriva a concludere che le variazioni di questi ultimi sono state troppo modeste per rientrare tra le determinanti principali degli squilibri intra-europei.

Wyplosz è uno dei massimi esperti in tema di unione monetaria. Le sue conclusioni dovrebbero quindi almeno in parte rassicurarci sulla tenuta futura della zona euro. In realtà esse non appaiono convincenti, per almeno due motivi. In primo luogo, se il problema consiste nel verificare la robustezza della zona euro di fronte alla eventualità di nuovi attacchi speculativi, allora si deve tener presente che gli operatori sui mercati finanziari elaborano le loro strategie anche alla luce degli andamenti attesi delle principali variabili economiche. In quest’ottica si dovrebbe quindi tener conto non solo degli squilibri commerciali già registrati ma anche dei fattori che possono concorrere ad accentuarli ulteriormente in futuro. Il grafico seguente offre in tal senso alcune indicazioni:

 

 

dati OECD
 

La figura mostra l’andamento effettivo dei costi monetari del lavoro per unità di prodotto dal 1999 al 2007, mentre per gli anni successivi descrive la loro proiezione lineare. Dal grafico si evince che se le linee di tendenza che hanno caratterizzato il primo decennio di vita della zona euro venissero confermate anche in futuro, la divaricazione tra i costi assumerebbe ben presto dimensioni eccezionali. In particolare, il costo unitario del lavoro in Germania diminuirebbe in termini assoluti a fronte di incrementi estremamente accentuati in Irlanda, Spagna, Italia, Grecia e Portogallo. In pochi anni la forbice tra i costi sarebbe dunque tale da generare divari di competitività senza precedenti. Essa potrebbe quindi condurre a quella che Krugman (1995) ha definito una “mezzogiornificazione” delle periferie europee, vale a dire desertificazioni produttive e migrazioni di massa dalle aree più deboli dell’Unione. Vi è chi reputa questa eventualità una conseguenza logica del processo di centralizzazione dei capitali europei in atto da tempo, e della connessa tendenza alla “egemonizzazione tedesca” dell’Europa. Se così fosse si tratterebbe di un processo altamente rischioso, che potrebbe a un certo punto pregiudicare la sopravvivenza stessa dell’attuale Unione monetaria.

Il secondo limite dell’analisi di Wyplosz verte sul fatto che egli esamina le divergenze tra i costi unitari guardando soltanto ai loro effetti sui prezzi relativi e quindi sulla competitività dei paesi della zona euro. Egli cioè trascura il fatto che i mutamenti nei costi monetari unitari possono avere implicazioni anche sui margini di profitto e quindi sulla distribuzione del reddito. Per esempio, se in Germania il costo monetario del lavoro per unità prodotta si riduce può accadere che le imprese tedesche decidano di ridurre i prezzi ma può anche darsi che scelgano di aumentare i margini. Ora, eventuali aumenti del margine di profitto modificano la distribuzione del reddito: la quota salari si riduce e la quota profitti aumenta. Di conseguenza, poiché la propensione al consumo sui salari è in genere molto più alta della propensione al consumo sui profitti,[2] lo spostamento distributivo a favore di questi ultimi provocherà in Germania un calo della domanda e delle importazioni e quindi un ulteriore aumento del surplus commerciale tedesco. Oltre al consueto effetto che passa per i prezzi e per la competitività esiste dunque un secondo effetto squilibrante che passa per la distribuzione e la domanda. Wyplosz e in generale gli economisti mainstream tendono a trascurare questo fenomeno aggiuntivo, eppure esso può risultare più potente di quello tradizionale.

Se dunque la causa degli squilibri intra-europei può essere almeno in parte rintracciata nella divaricazione tra i costi del lavoro per unità prodotta, si pone il problema di individuare un criterio per contrastare questa tendenza. Ma quale meccanismo potrebbe concretamente arrestare l’ampliamento della forbice tra i costi? Nelle trattative in corso sulla riforma del Patto di stabilità, alcune forze in seno al Consiglio europeo insistono affinché si affermi ancora una volta l’idea che il mercato, lasciato a sé stesso, sarebbe in grado di correggere spontaneamente gli squilibri. Nei documenti preparatori della riforma si trovano infatti varie esortazioni, rivolte ai paesi in deficit con l’estero, ad accrescere ulteriormente la flessibilità del mercato del lavoro e ad abolire gli ultimi scampoli di indicizzazione dei salari. In sostanza, si vorrebbe che il Consiglio sollecitasse i paesi tendenti al deficit commerciale ad abolire i residui lacci normativi e contrattuali che disciplinano i rapporti di lavoro e li esortasse per questa via a lanciarsi all’inseguimento della Germania nella corsa al ribasso dei costi. In effetti questa ennesima istigazione al dumping e alla deflazione salariale non costituisce una novità. Si tratta di una politica già ampiamente sperimentata in passato. A conti fatti, essa non sembra aver minimamente contribuito ad attenuare gli squilibri e questa volta potrebbe anche far piombare l’Europa in una nuova recessione.

Un’alternativa alla linea di indirizzo descritta tuttavia esiste. Potremmo definirla “standard salariale” o “standard retributivo europeo”. Lo “standard” opererebbe su due pilastri: 1) Tutti i paesi membri dell’Unione dovrebbero esser tenuti a garantire una crescita delle retribuzioni reali almeno uguale alla crescita della produttività del lavoro (la definizione di “retribuzioni reali” può essere estesa fino a includere beni e servizi collettivi garantiti dallo stato sociale); l’obiettivo è di interrompere la caduta ormai trentennale della quota salari in Europa[3] e di eliminare la tendenza recessiva che da essa consegue, vista la maggior propensione al consumo dei salari rispetto ai profitti;[4] 2) Al di sopra della crescita minima, lo “standard” legherebbe la crescita delle retribuzioni reali agli andamenti delle bilance commerciali, allo scopo di favorire il riequilibrio tra paesi in surplus e paesi in deficit con l’estero; in particolare, i paesi caratterizzati da surplus commerciale sistematico dovrebbero essere indotti ad accelerare la crescita delle retribuzioni rispetto alla crescita della produttività al fine di contribuire all’assorbimento degli avanzi con l’estero. In sostanza, il primo pilastro dello “standard” opera in chiave di redistribuzione sociale, il secondo pilastro agisce sul riequilibrio commerciale, ma entrambi sono orientati al rilancio complessivo della domanda e del reddito europei.[5] Infine, la cogenza: i paesi nei quali gli andamenti del rapporto tra retribuzioni reali e produttività fossero divergenti rispetto allo “standard” dovrebbero essere sottoposti a sanzioni analoghe a quelle previste dai Trattati europei nel caso di deficit pubblici “eccessivi”.

Da un punto di vista concettuale la proposta di “standard retributivo” segue la fondamentale lezione di Keynes secondo cui la crisi può essere scongiurata solo se il peso del riequilibrio commerciale viene spostato dalle spalle dei paesi debitori a quelle dei paesi creditori, attraverso una espansione della domanda da parte di questi ultimi anziché una contrazione da parte dei primi. La proposta dovrebbe inoltre esser concepita come tassello di un piano più generale, che miri finalmente all’attivazione di un motore “interno” dello sviluppo economico e sociale europeo. Infine, un aspetto politicamente interessante dello “standard” è che esso rivela che l’interesse generale alla unità europea coincide con gli interessi dei lavoratori, siano essi tedeschi, italiani o greci.[6] Lo “standard” riesce in tal senso a generare una potenziale convergenza di interessi tra lavoratori appartenenti a paesi diversi, nonostante la divergenza tra i rispettivi costi unitari del lavoro. Per questo motivo potremmo definirlo un esempio concreto e non retorico di internazionalismo del lavoro.[7]

Naturalmente resta tutta da verificare la possibilità che a breve si riescano a smuovere le istituzioni dell’Unione nella direzione suggerita dallo “standard”. Un buon avvio potrebbe consistere in una ipotesi alternativa di riforma del Patto di Stabilità da parte dei partiti socialisti e delle sinistre europee. Si potrebbero inoltre rimodulare le iniziative sul salario minimo già avviate in seno al Parlamento europeo, al fine di renderle conformi alla logica generale dello “standard retributivo”. Ad ogni modo, quel che più conta, per il momento, è diffondere la consapevolezza che l’unità europea è minacciata anche da forze centrifughe che stanno ampliando a livelli potenzialmente insostenibili la forbice tra i costi unitari del lavoro. La pretesa di contrastare queste forze affidandosi alle consuete ricette liberiste potrebbe generare effetti contrari alle attese e danni irreparabili.[8]

 

 

Riferimenti bibliografici
Alesina, A., Perotti, R. (2010), Ricette sbagliate: più spesa in Germania,18 giugno.
Banca d’Italia (2010), I bilanci delle famiglie italiane nell’anno 2008, Supplemento al bollettino statistico, n. 8, 10 febbraio.
Blanchard, O., Giavazzi F. (2002), Current Account Deficits in the Euro Area: the End of the Feldstein-Horioka Puzzle?, Brookings Papers on Economic Activity, n. 2.
Brancaccio, E. (2008), Deficit commerciale, crisi di bilancio e politica deflazionista, Studi Economici, n. 96.
Giavazzi, F., Spaventa L. (2010), The European Commission’s proposals: Empty and useless,  14 October.
Brancaccio, E. (2010), L’afflato europeista alla prova dei dati, in Brancaccio E., La crisi del pensiero unico, 2° ed., Franco Angeli, Milano.
Graziani, A. (2002), The Euro: an Italian Perspective, International Review of Applied Economics, 16, 1.
Hein E., Vogel L. (2008), Distribution and growth reconsidered: empirical results for six OECD countries, Cambridge Journal of Economics, 32.
Krugman, P. (1995), Geografia e commercio internazionale, Garzanti (ed. orig. Geography and Trade 1991).
Stockhammer E., Onaran O., Ederer S. (2009), Functional income distribution and aggregate demand in the Euro area, Cambridge Journal of Economics, 33.
Wyplosz, C. (2011), Happy 2011?, 5 January.
gesucrì

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Re:Crisi economica mondiale [topic generale]
« Risposta #69 il: 10 Settembre, 2011, 14:31:05 pm »
Uno “standard retributivo” per tenere unita l’Europa


La crisi europea non è finita: la divergenza tra i costi del lavoro per unità prodotta sta alimentando squilibri potenzialmente letali per l’Unione monetaria. Occorre uno “standard retributivo” per ridurre lo sbilanciamento tra paesi in surplus e paesi in deficit commerciale. L’interesse generale all’unità europea coincide con gli interessi dei lavoratori, siano essi tedeschi, italiani o greci.

Sembrano lontani i tempi in cui Olivier Blanchard e Francesco Giavazzi (2002) consideravano l’ampliamento degli squilibri commerciali tra paesi europei un sintomo virtuoso della maggiore integrazione finanziaria della zona euro. Da qualche anno la loro tesi appare superata, e va invece diffondendosi tra gli studiosi una chiave di lettura molto meno rassicurante degli sbilanciamenti nel commercio intra-europeo. Stando a questa interpretazione alternativa la crisi dell’unità europea non può banalmente derivare da finanze pubbliche fuori controllo ma sembra piuttosto essere associata a un problema di indebitamento complessivo, sia pubblico che privato, e in particolare a uno squilibrio nei rapporti di debito e credito tra i paesi membri dell’Unione. Più precisamente si ritiene che la crisi sia alimentata da una profonda asimmetria tra economie forti ed economie deboli dell’area, che determina surplus crescenti soprattutto per la Germania a fronte di deficit commerciali sistematici per i paesi “periferici” dell’Unione. Numerosi analisti iniziano in questo senso a temere che lo squilibrio tra paesi in surplus e paesi in deficit con l’estero possa rivelarsi un grave fattore di instabilità e una potenziale minaccia per la tenuta futura dell’Unione monetaria.[1] Persino il Consiglio e la Commissione europea, solitamente riluttanti sul tema, hanno iniziato a riconoscere che uno squilibrio eccessivo nei commerci intra-europei accresce l’instabilità e il rischio di nuove crisi.

Ma quali sono le cause degli squilibri commerciali interni alla zona euro? Per quale motivo la Germania continua ad accumulare surplus mentre Grecia, Irlanda, Italia, Portogallo e Spagna tendono sistematicamente al deficit nei conti con l’estero? Limitarsi ad affermare che i paesi “periferici” spendono troppo mentre la Germania spende troppo poco è tautologico. Più interessante ci sembra la tesi secondo cui gli attuali scompensi commerciali sarebbero almeno in parte da imputare ad una divergenza tra i costi del lavoro per unità prodotta dei vari paesi dell’Unione. E’ questa una interpretazione di cui si discute da tempo e che raccoglie il parere favorevole di svariati esperti. Di recente tuttavia Charles Wyplosz (2011) ha respinto con risolutezza questa spiegazione. L’economista del Graduate Institute di Ginevra riconosce che dal 1999 ad oggi in Germania i salari sono cresciuti pochissimo rispetto alla produttività, per cui il costo unitario del lavoro si è ridotto e la competitività è aumentata rispetto agli altri paesi. Egli però aggiunge che il cambiamento relativo dei costi unitari non ha quasi mai superato i dieci punti percentuali. Data la bassa elasticità delle bilance commerciali ai costi unitari, Wyplosz arriva a concludere che le variazioni di questi ultimi sono state troppo modeste per rientrare tra le determinanti principali degli squilibri intra-europei.

Wyplosz è uno dei massimi esperti in tema di unione monetaria. Le sue conclusioni dovrebbero quindi almeno in parte rassicurarci sulla tenuta futura della zona euro. In realtà esse non appaiono convincenti, per almeno due motivi. In primo luogo, se il problema consiste nel verificare la robustezza della zona euro di fronte alla eventualità di nuovi attacchi speculativi, allora si deve tener presente che gli operatori sui mercati finanziari elaborano le loro strategie anche alla luce degli andamenti attesi delle principali variabili economiche. In quest’ottica si dovrebbe quindi tener conto non solo degli squilibri commerciali già registrati ma anche dei fattori che possono concorrere ad accentuarli ulteriormente in futuro. Il grafico seguente offre in tal senso alcune indicazioni:

 

 

dati OECD
 

La figura mostra l’andamento effettivo dei costi monetari del lavoro per unità di prodotto dal 1999 al 2007, mentre per gli anni successivi descrive la loro proiezione lineare. Dal grafico si evince che se le linee di tendenza che hanno caratterizzato il primo decennio di vita della zona euro venissero confermate anche in futuro, la divaricazione tra i costi assumerebbe ben presto dimensioni eccezionali. In particolare, il costo unitario del lavoro in Germania diminuirebbe in termini assoluti a fronte di incrementi estremamente accentuati in Irlanda, Spagna, Italia, Grecia e Portogallo. In pochi anni la forbice tra i costi sarebbe dunque tale da generare divari di competitività senza precedenti. Essa potrebbe quindi condurre a quella che Krugman (1995) ha definito una “mezzogiornificazione” delle periferie europee, vale a dire desertificazioni produttive e migrazioni di massa dalle aree più deboli dell’Unione. Vi è chi reputa questa eventualità una conseguenza logica del processo di centralizzazione dei capitali europei in atto da tempo, e della connessa tendenza alla “egemonizzazione tedesca” dell’Europa. Se così fosse si tratterebbe di un processo altamente rischioso, che potrebbe a un certo punto pregiudicare la sopravvivenza stessa dell’attuale Unione monetaria.

Il secondo limite dell’analisi di Wyplosz verte sul fatto che egli esamina le divergenze tra i costi unitari guardando soltanto ai loro effetti sui prezzi relativi e quindi sulla competitività dei paesi della zona euro. Egli cioè trascura il fatto che i mutamenti nei costi monetari unitari possono avere implicazioni anche sui margini di profitto e quindi sulla distribuzione del reddito. Per esempio, se in Germania il costo monetario del lavoro per unità prodotta si riduce può accadere che le imprese tedesche decidano di ridurre i prezzi ma può anche darsi che scelgano di aumentare i margini. Ora, eventuali aumenti del margine di profitto modificano la distribuzione del reddito: la quota salari si riduce e la quota profitti aumenta. Di conseguenza, poiché la propensione al consumo sui salari è in genere molto più alta della propensione al consumo sui profitti,[2] lo spostamento distributivo a favore di questi ultimi provocherà in Germania un calo della domanda e delle importazioni e quindi un ulteriore aumento del surplus commerciale tedesco. Oltre al consueto effetto che passa per i prezzi e per la competitività esiste dunque un secondo effetto squilibrante che passa per la distribuzione e la domanda. Wyplosz e in generale gli economisti mainstream tendono a trascurare questo fenomeno aggiuntivo, eppure esso può risultare più potente di quello tradizionale.

Se dunque la causa degli squilibri intra-europei può essere almeno in parte rintracciata nella divaricazione tra i costi del lavoro per unità prodotta, si pone il problema di individuare un criterio per contrastare questa tendenza. Ma quale meccanismo potrebbe concretamente arrestare l’ampliamento della forbice tra i costi? Nelle trattative in corso sulla riforma del Patto di stabilità, alcune forze in seno al Consiglio europeo insistono affinché si affermi ancora una volta l’idea che il mercato, lasciato a sé stesso, sarebbe in grado di correggere spontaneamente gli squilibri. Nei documenti preparatori della riforma si trovano infatti varie esortazioni, rivolte ai paesi in deficit con l’estero, ad accrescere ulteriormente la flessibilità del mercato del lavoro e ad abolire gli ultimi scampoli di indicizzazione dei salari. In sostanza, si vorrebbe che il Consiglio sollecitasse i paesi tendenti al deficit commerciale ad abolire i residui lacci normativi e contrattuali che disciplinano i rapporti di lavoro e li esortasse per questa via a lanciarsi all’inseguimento della Germania nella corsa al ribasso dei costi. In effetti questa ennesima istigazione al dumping e alla deflazione salariale non costituisce una novità. Si tratta di una politica già ampiamente sperimentata in passato. A conti fatti, essa non sembra aver minimamente contribuito ad attenuare gli squilibri e questa volta potrebbe anche far piombare l’Europa in una nuova recessione.

Un’alternativa alla linea di indirizzo descritta tuttavia esiste. Potremmo definirla “standard salariale” o “standard retributivo europeo”. Lo “standard” opererebbe su due pilastri: 1) Tutti i paesi membri dell’Unione dovrebbero esser tenuti a garantire una crescita delle retribuzioni reali almeno uguale alla crescita della produttività del lavoro (la definizione di “retribuzioni reali” può essere estesa fino a includere beni e servizi collettivi garantiti dallo stato sociale); l’obiettivo è di interrompere la caduta ormai trentennale della quota salari in Europa[3] e di eliminare la tendenza recessiva che da essa consegue, vista la maggior propensione al consumo dei salari rispetto ai profitti;[4] 2) Al di sopra della crescita minima, lo “standard” legherebbe la crescita delle retribuzioni reali agli andamenti delle bilance commerciali, allo scopo di favorire il riequilibrio tra paesi in surplus e paesi in deficit con l’estero; in particolare, i paesi caratterizzati da surplus commerciale sistematico dovrebbero essere indotti ad accelerare la crescita delle retribuzioni rispetto alla crescita della produttività al fine di contribuire all’assorbimento degli avanzi con l’estero. In sostanza, il primo pilastro dello “standard” opera in chiave di redistribuzione sociale, il secondo pilastro agisce sul riequilibrio commerciale, ma entrambi sono orientati al rilancio complessivo della domanda e del reddito europei.[5] Infine, la cogenza: i paesi nei quali gli andamenti del rapporto tra retribuzioni reali e produttività fossero divergenti rispetto allo “standard” dovrebbero essere sottoposti a sanzioni analoghe a quelle previste dai Trattati europei nel caso di deficit pubblici “eccessivi”.

Da un punto di vista concettuale la proposta di “standard retributivo” segue la fondamentale lezione di Keynes secondo cui la crisi può essere scongiurata solo se il peso del riequilibrio commerciale viene spostato dalle spalle dei paesi debitori a quelle dei paesi creditori, attraverso una espansione della domanda da parte di questi ultimi anziché una contrazione da parte dei primi. La proposta dovrebbe inoltre esser concepita come tassello di un piano più generale, che miri finalmente all’attivazione di un motore “interno” dello sviluppo economico e sociale europeo. Infine, un aspetto politicamente interessante dello “standard” è che esso rivela che l’interesse generale alla unità europea coincide con gli interessi dei lavoratori, siano essi tedeschi, italiani o greci.[6] Lo “standard” riesce in tal senso a generare una potenziale convergenza di interessi tra lavoratori appartenenti a paesi diversi, nonostante la divergenza tra i rispettivi costi unitari del lavoro. Per questo motivo potremmo definirlo un esempio concreto e non retorico di internazionalismo del lavoro.[7]

Naturalmente resta tutta da verificare la possibilità che a breve si riescano a smuovere le istituzioni dell’Unione nella direzione suggerita dallo “standard”. Un buon avvio potrebbe consistere in una ipotesi alternativa di riforma del Patto di Stabilità da parte dei partiti socialisti e delle sinistre europee. Si potrebbero inoltre rimodulare le iniziative sul salario minimo già avviate in seno al Parlamento europeo, al fine di renderle conformi alla logica generale dello “standard retributivo”. Ad ogni modo, quel che più conta, per il momento, è diffondere la consapevolezza che l’unità europea è minacciata anche da forze centrifughe che stanno ampliando a livelli potenzialmente insostenibili la forbice tra i costi unitari del lavoro. La pretesa di contrastare queste forze affidandosi alle consuete ricette liberiste potrebbe generare effetti contrari alle attese e danni irreparabili.[8]

 

 

Riferimenti bibliografici
Alesina, A., Perotti, R. (2010), Ricette sbagliate: più spesa in Germania,18 giugno.
Banca d’Italia (2010), I bilanci delle famiglie italiane nell’anno 2008, Supplemento al bollettino statistico, n. 8, 10 febbraio.
Blanchard, O., Giavazzi F. (2002), Current Account Deficits in the Euro Area: the End of the Feldstein-Horioka Puzzle?, Brookings Papers on Economic Activity, n. 2.
Brancaccio, E. (2008), Deficit commerciale, crisi di bilancio e politica deflazionista, Studi Economici, n. 96.
Giavazzi, F., Spaventa L. (2010), The European Commission’s proposals: Empty and useless,  14 October.
Brancaccio, E. (2010), L’afflato europeista alla prova dei dati, in Brancaccio E., La crisi del pensiero unico, 2° ed., Franco Angeli, Milano.
Graziani, A. (2002), The Euro: an Italian Perspective, International Review of Applied Economics, 16, 1.
Hein E., Vogel L. (2008), Distribution and growth reconsidered: empirical results for six OECD countries, Cambridge Journal of Economics, 32.
Krugman, P. (1995), Geografia e commercio internazionale, Garzanti (ed. orig. Geography and Trade 1991).
Stockhammer E., Onaran O., Ederer S. (2009), Functional income distribution and aggregate demand in the Euro area, Cambridge Journal of Economics, 33.
Wyplosz, C. (2011), Happy 2011?, 5 January.
SI POTREBBE ANCHE FARE, a patto che ci sia una quota europea di spese per servizi che ogni cittadino paga per poter circolare
nella comunità europeo, a patto che ci sia la limitazione alla commercializzazione di prodotti solo a marchio europeo e prodotti in europa, e che
l' inidicizzazione dell'adeguamento salariale sia proporzionato ai livelli di tassazione nei paesi in modo da avere uno spread da spendere in consumi ed investimenti.
Poi ci vorrebbero tutele finanziarie per le imprese di almeno 5 anni per le imprese e per gli investitori, inoltre creare un consorzio europeo per tutti i prodotti
sviluppati e creati in europa, in modo da differenziare il tutto con il marciume made in china. Farei anche un limite contributivo che a differenza di questo attuale venga calcolato a seconda del reddito
e della classe di lavoro. insomma servono aiuti e regole chiare! pensare di tagliare ancora è inutile....depennare circo 800 tra deputati senatori e marciume vario una speranza.
instaurare patrimoniale sugli alti redditi una fonte.... Cambiare la nostra mentalità il futura.... un unica moneta l'euro ma tante e troppe differenze tra paese e paese.

Offline Full-of-lutamma

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Re:Crisi economica mondiale [topic generale]
« Risposta #70 il: 10 Settembre, 2011, 15:38:46 pm »
Permettimi, ma non puoi recuperare 40-50 miliardi di euro in pochi mesi tagliando gli sprechi. Se vuoi intervenire sulla spesa pubblica,
PER FORZA devi eliminare o sistema sanitario nazionale o sistema previdenziale, almeno per come lo conosciamo oggi. Come sta facendo, fallendo, la Grecia.

Rilancio sui tecnicismi: per far fronte a disavanzo, in caso di "debito federale" uno stato come dovrebbe finanziare la spesa pubblica? Con quali modalità? Chi è preposto a concedere cosa? Coin quali velocità?

Non li recuperi, ma metti mano per forza di cose a riforme serie che servono come il pane a questo paese. Magari nell'immediato calmi anche i mercati ponendo un freno al "corpo della preda" che sembrava morto ma in realtà da segni di vita. La questione della patrimoniale, anche se ideologicamente non la condivido, si potrebbe anche attuare. Il mio personale dubbio è che dopo la patrimoniale tutto continui come prima. Ristrutturiamo la facciata nell'immediato e sono d'accordo. Ma sappiamo tutti che sono le fondamenta che urgono di un intervento, e pochi hanno il coraggio/interesse di metterci mano.  Toccare il welfare state credo sarebbe pure cosa buona e giusta. Non intendo lasciare milioni di persone senza copertura sanitaria, ma smetterla ad esempio di finanziare strutture private son i soldi pubblici...rendere tutto più meritevole. Chi paga ha diritto, chi no si appenda. Un evasore che dichiara 7.000 euro l'anno non deve aver accesso a strutture pubbliche in alcun modo. E' l'operaio che paga tutte le tasse che deve essere trattato come un Re quando entra in un ospedale. E qui andiamo pure alla lotta alla evasione. La questione è che i problemi sono talmente tanti e collegati tra loro che se uno si mette a fare l'elenco non la finiamo più. La colpa è dei politici, che non solo hanno governato male, ma hanno anche fallito nell'educare un popolo, assecondandone le più aberranti inclinazioni al disprezzo della cosa pubblica per garantirsi l'impunità a vita. Io almeno così la vedo e sinceramente non vedo all'orizzonte manco un filo di luce. Dicono che la notte è più buia prima dell'alba. Lo spero con tutto il cuore, anche se ci credo poco.

La seconda parte del tuo post francamente non la capisco. Se si diventa un corpo solo si attuano i meccanismi che esistono ad esempio in USA, dove l'unico autorizzato a contrarre debito è l'ente federale e non il singolo stato. Bisogna a mio modo di vedere ragionare quanto più è possibile come corpo unico, con fiscalità comuni, sistemi sanitari e pensionistici quanto più simili dalla Svezia alla Grecia.


 

Offline Full-of-lutamma

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Re:Crisi economica mondiale [topic generale]
« Risposta #71 il: 10 Settembre, 2011, 15:52:44 pm »
L'articolo è interessantissimo. ma vorrei aggiungere qualcosa. I costi del lavoro variano da paese a paese per cause specifiche di quei paesi. Qui il costo del lavoro aumenta perché le tasse sono alte e le nostre aziende non sono competitive, principalmente. La Germania è il terzo esportatore mondiale, anzi il secondo dietro gli USA e a differenza delle Cina esportano merci ad alto tasso tecnologico e con un background di ricerca e sviluppo dietro che ha pochi pari al mondo. La sfida del nuovo secolo corre su questi binari, sempre più competenze e maggiori implementazioni. Se rimani al palo sei fregato, nel 2011 ci metti nulla a diventare periferia del mondo. Questa è un'altra grande sfida che il nostro paese deve affrontare. Basta piangere perché il cinese fa le magliette a 1 euro. Dobbiamo tirarci su per fare le magliette di 10 euro, di altissima qualità e che abbiano un loro segmento di mercato ben definito. Apple spende metà dei suoi utili in R&R, ma ha iniziato 10 anni fa ed ha spezzato i reni a tutti i suoi competitors. Bisogna ragionare così anche a livello imprenditoriale ormai. Offrire di più e meglio al cliente.


 

Offline Full-of-lutamma

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Re:Crisi economica mondiale [topic generale]
« Risposta #72 il: 10 Settembre, 2011, 15:53:57 pm »
EDIT


 

Offline Moebius

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Re:Crisi economica mondiale [topic generale]
« Risposta #73 il: 10 Settembre, 2011, 15:54:38 pm »
vedo che ormai è un dialogo tra te e te
 :look:
ragazzi, cercate di non esagerare con le bestemmie

Offline Full-of-lutamma

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Re:Crisi economica mondiale [topic generale]
« Risposta #74 il: 10 Settembre, 2011, 17:07:43 pm »
Inoltre sarebbe bene che mafiosi e cammorristi iniziassero ad investire in maniera legale come fanno in America. La Mafia ha tirato su intere città lì. Hanno miliardi e miliardi e devono iniziare a spenderli.


 

Offline mk89

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Re:Crisi economica mondiale [topic generale]
« Risposta #75 il: 10 Settembre, 2011, 17:21:01 pm »
Comunque per me i discorsi di full-of-lutamma non sembrano inconsistenti, anzi.  :sisi:

Dell'articolo di Enzo... mamma mà.. solamente la bibliografia è una palla da leggere  :brr:  :rotfl:
Si abbufferà di psicofarmaci e anfetamine. Comunque visto lo stato mentale attuale, ha tutto per diventare amministratore di questo forum  :look:

Offline cavallopazzo

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Re:Crisi economica mondiale [topic generale]
« Risposta #76 il: 10 Settembre, 2011, 17:54:19 pm »
Inoltre sarebbe bene che mafiosi e cammorristi iniziassero ad investire in maniera legale come fanno in America. La Mafia ha tirato su intere città lì. Hanno miliardi e miliardi e devono iniziare a spenderli.
quello lo stanno facendo... e lo fanno da anni. gli manca proprio di investire nelle finanza pura. però a noi preferiscono papparsi fondi europei che mettere in circolo proprio i loro... diciamo che hanno un pò di mente chiusa agli affari infatti
sono entrati soltanto nei settori agroalimentari con annessa ristorazione e nel cemento movimento terra ed altre attività connesse. diciamo che investono sul sicuro.
la mafia per salvare il paese :maronn:

Offline nickwire

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Re:Crisi economica mondiale [topic generale]
« Risposta #77 il: 10 Settembre, 2011, 21:56:16 pm »
Non li recuperi, ma metti mano per forza di cose a riforme serie che servono come il pane a questo paese. Magari nell'immediato calmi anche i mercati ponendo un freno al "corpo della preda" che sembrava morto ma in realtà da segni di vita. La questione della patrimoniale, anche se ideologicamente non la condivido, si potrebbe anche attuare. Il mio personale dubbio è che dopo la patrimoniale tutto continui come prima. Ristrutturiamo la facciata nell'immediato e sono d'accordo. Ma sappiamo tutti che sono le fondamenta che urgono di un intervento, e pochi hanno il coraggio/interesse di metterci mano.  Toccare il welfare state credo sarebbe pure cosa buona e giusta. Non intendo lasciare milioni di persone senza copertura sanitaria, ma smetterla ad esempio di finanziare strutture private son i soldi pubblici...rendere tutto più meritevole. Chi paga ha diritto, chi no si appenda. Un evasore che dichiara 7.000 euro l'anno non deve aver accesso a strutture pubbliche in alcun modo. E' l'operaio che paga tutte le tasse che deve essere trattato come un Re quando entra in un ospedale. E qui andiamo pure alla lotta alla evasione. La questione è che i problemi sono talmente tanti e collegati tra loro che se uno si mette a fare l'elenco non la finiamo più. La colpa è dei politici, che non solo hanno governato male, ma hanno anche fallito nell'educare un popolo, assecondandone le più aberranti inclinazioni al disprezzo della cosa pubblica per garantirsi l'impunità a vita. Io almeno così la vedo e sinceramente non vedo all'orizzonte manco un filo di luce. Dicono che la notte è più buia prima dell'alba. Lo spero con tutto il cuore, anche se ci credo poco.

La seconda parte del tuo post francamente non la capisco. Se si diventa un corpo solo si attuano i meccanismi che esistono ad esempio in USA, dove l'unico autorizzato a contrarre debito è l'ente federale e non il singolo stato. Bisogna a mio modo di vedere ragionare quanto più è possibile come corpo unico, con fiscalità comuni, sistemi sanitari e pensionistici quanto più simili dalla Svezia alla Grecia.

Un piccolo particolare: in Usa non esiste welfare e grazie al cazzo che può sussistere a lungo un sistema federale di quel tipo.
Ripeto la domanda: come fai a finanziare disavanzo di una nazione? Come fai a far investire nelle infrastrutture, negli investimenti produttivi un paese che non può emettere bond? E soprattutto: chi decide quale nazione può investire a debito e chi no? E' utopico capisci?

Inoltre, vuoi intervenire sui "privilegi" e sul welfare per dare un segnale agli agenti economici e non credi che ci sia bisogno piuttosto del ridimensionamento del potere arbitrario e sanzionatorio della BCE, che può agire senza chiedere permesso a nessuno, e senza che nessuno in pratica abbia formalizzato i suoi parametri (tax d'interesse, inflazione, disavanzo/pil)

Forse non l'hai capito, ma tutto parte da lì.

Comunque si è capito che sei neoclassico e che credi alla stronzata dell "accumulazione di capitale". Beato te.

Offline Full-of-lutamma

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Re:Crisi economica mondiale [topic generale]
« Risposta #78 il: 11 Settembre, 2011, 01:53:15 am »
Comunque per me i discorsi di full-of-lutamma non sembrano inconsistenti, anzi.  :sisi:



Ti ringrazio.


 

Offline Full-of-lutamma

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Re:Crisi economica mondiale [topic generale]
« Risposta #79 il: 11 Settembre, 2011, 02:01:14 am »
Un piccolo particolare: in Usa non esiste welfare e grazie al cazzo che può sussistere a lungo un sistema federale di quel tipo.
Ripeto la domanda: come fai a finanziare disavanzo di una nazione? Come fai a far investire nelle infrastrutture, negli investimenti produttivi un paese che non può emettere bond? E soprattutto: chi decide quale nazione può investire a debito e chi no? E' utopico capisci?

Inoltre, vuoi intervenire sui "privilegi" e sul welfare per dare un segnale agli agenti economici e non credi che ci sia bisogno piuttosto del ridimensionamento del potere arbitrario e sanzionatorio della BCE, che può agire senza chiedere permesso a nessuno, e senza che nessuno in pratica abbia formalizzato i suoi parametri (tax d'interesse, inflazione, disavanzo/pil)

Forse non l'hai capito, ma tutto parte da lì.

Comunque si è capito che sei neoclassico e che credi alla stronzata dell "accumulazione di capitale". Beato te.

Non è utopistico a me sembra una cosa molto semplice invece. Nessun governo nazionale può contrarre debito, spende quello che ha e se ha bisogno di qualcosa extra chiede al governo federale. Le grandi opere le fa l'Europa, se bisogna rifare l'A1 la rifarà l'Europa dato che l'A1 non si fermerà a Milano ma arriverà fino a Berlino, es. Guarda che con l'Europa Unita ma unita si potrebbe anche mettere in campo un grande New Deal a livello Continetale, che ovviamente interessi le aree più sottosviluppate principalmente. Roosvelt il ND lo fece nella provincia americana non a Fifth Avenue.

La BCE è ottima così com'è, la politica monetario deve gestirla un ente indipendente, lo Stato fa troppi danni.

Comuque si, sono un liberista convinto.

Mi scuso se non ho espresso i concetti in modo chiaro, però sono pure le 2 di notte.