Autore Topic: Suicida in carcere la neo Br Blefari - riflessioni sull'ergastolo  (Letto 7544 volte)  Share 

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Offline Vino a Tavola

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Re:Suicida in carcere la neo Br Blefari - riflessioni sull'ergastolo
« Risposta #20 il: 04 Novembre, 2009, 13:36:51 pm »
sisi chiaro, hai espresso meglio ciò che intendevo  :ok:
le parole sono importanti (cit.)

qui ci voleva la faccina del secchione  :nono:

bender89

Re:Suicida in carcere la neo Br Blefari - riflessioni sull'ergastolo
« Risposta #21 il: 04 Novembre, 2009, 15:49:34 pm »
Io credo nella funzione riabilitativa del carcere. Se mi venite a dire però che tutti i soggetti sono riassimilabili nella società  senza nuocere nel giro di tot anni mi faccio una risata.
Certa gente non è in grado di vivere in società , per svariate ragioni, va isolata. E' uno dei tanti effetti collaterali del vivere in comunità .

Offline bart

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Re:Suicida in carcere la neo Br Blefari
« Risposta #22 il: 04 Novembre, 2009, 16:27:52 pm »
cesare beccaria già  alla fine del '700 (pieno illuminismo) avanzava una concezione profondamente diversa della pena: non debito da pagare ma rieducazione e riabilitazione. ed è sacrosanto che sia così: come si può stimare il debito provocato da un omicidio, dato che nè 1000 anni di carcere nè un omicidio di stato possono restituire la vita?


l'unico caso in cui non vedo nessuna possibilità  di riabilitazione è per il reato di associazione a delinquere di stampo mafioso/camorristico/ndranghetistico. ben venga il 41bis a vita, a meno che non ti penti e parli.

PS sono daccordo anche sul discorso del contenimento di nando, ma per me non è necessariamente in contraddizione  con la finalità  riabilitativa, anzi.
:ok:

Io credo nella funzione riabilitativa del carcere. Se mi venite a dire però che tutti i soggetti sono riassimilabili nella società  senza nuocere nel giro di tot anni mi faccio una risata.

se li tieni rinchiusi e trattati come delle bestie certamente no... ma finchè si continuerà  a ritenere il carcere unicamente un luogo di detenzione oltre che di riabilitazione allora ti dò il diritto di ridermi in faccia :peppe:

Offline kurz

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Re:Suicida in carcere la neo Br Blefari - riflessioni sull'ergastolo
« Risposta #23 il: 04 Novembre, 2009, 16:30:46 pm »
Io credo nella funzione riabilitativa del carcere. Se mi venite a dire però che tutti i soggetti sono riassimilabili nella società  senza nuocere nel giro di tot anni mi faccio una risata.
Certa gente non è in grado di vivere in società , per svariate ragioni, va isolata. E' uno dei tanti effetti collaterali del vivere in comunità .
gesucrì

Offline bart

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Re:Suicida in carcere la neo Br Blefari - riflessioni sull'ergastolo
« Risposta #24 il: 04 Novembre, 2009, 16:32:33 pm »

t'issa stancà  a scrivere nu' comment... :nono:

Offline kurz

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Re:Suicida in carcere la neo Br Blefari - riflessioni sull'ergastolo
« Risposta #25 il: 04 Novembre, 2009, 16:33:49 pm »
t'issa stancà  a scrivere nu' comment... :nono:


E' quello che penso, a certa sfaccimma di gente la terrei chiusa per tutta la vita dentro, non possono vivere in comunità .
gesucrì

Offline bart

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Re:Suicida in carcere la neo Br Blefari - riflessioni sull'ergastolo
« Risposta #26 il: 04 Novembre, 2009, 16:38:10 pm »

E' quello che penso, a certa sfaccimma di gente la terrei chiusa per tutta la vita dentro, non possono vivere in comunità .
2 virgole tutte in una frase, azz :patt:

Offline Vino a Tavola

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Re:Suicida in carcere la neo Br Blefari
« Risposta #27 il: 04 Novembre, 2009, 16:41:06 pm »
se li tieni rinchiusi e trattati come delle bestie certamente no... ma finchè si continuerà  a ritenere il carcere unicamente un luogo di detenzione oltre che di riabilitazione allora ti dò il diritto di ridermi in faccia :peppe:

il punto è che il discorso va un attimo diviso.
 da una parte ci sono le funzioni dello stato, i suoi princìpi e i suoi doveri. guai a mettere in discussione i risultati più importanti raggiunti in secoli di evoluzione del pensiero politico... soprattutto quelli che derivano dal secolo dei lumi.

poi ti devi confrontare con la realtà  e la devi accettare e trovare soluzioni quantoppiù coerenti con quei principi. se pensi alla realtà , purtroppo fiorenzo ha ragione. ecco perchè esistono gli ospedali psichiatrici (esistono?  :look:) e il 41bis per i mafiosi.

che poi in italia gli unici a pagare davvero (forse persino troppo) sono solo i brigatisti direi che è tutt'altro tipo di discorso...

Offline bart

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Re:Suicida in carcere la neo Br Blefari
« Risposta #28 il: 04 Novembre, 2009, 18:13:28 pm »
il punto è che il discorso va un attimo diviso.
 da una parte ci sono le funzioni dello stato, i suoi princìpi e i suoi doveri. guai a mettere in discussione i risultati più importanti raggiunti in secoli di evoluzione del pensiero politico... soprattutto quelli che derivano dal secolo dei lumi.

poi ti devi confrontare con la realtà  e la devi accettare e trovare soluzioni quantoppiù coerenti con quei principi. se pensi alla realtà , purtroppo fiorenzo ha ragione. ecco perchè esistono gli ospedali psichiatrici (esistono?  :look:) e il 41bis per i mafiosi.

che poi in italia gli unici a pagare davvero (forse persino troppo) sono solo i brigatisti direi che è tutt'altro tipo di discorso...
Diego, a me è proprio il concetto di carcere esistente in Italia a farmi ribrezzo... per l'ergastolo diciamo che il problema non si pone (se non sul piano umano e morale) perchè sei sicuro che chi ha commesso un reato non commetterebbe più, ma io non mi stupisco se chi si è beccato un qualsiasi numero di anni di carcere una volta fuori torna a delinquere, uno non impara mica a vivere in comunità  standosene per anni chiuso in una cella a beccarsi violenze fisiche e psicologiche in continuazione... più comunità  e meno carceri, è questo il mio sogno

bender89

Re:Suicida in carcere la neo Br Blefari
« Risposta #29 il: 04 Novembre, 2009, 18:18:17 pm »
Diego, a me è proprio il concetto di carcere esistente in Italia a farmi ribrezzo... per l'ergastolo diciamo che il problema non si pone (se non sul piano umano e morale) perchè sei sicuro che chi ha commesso un reato non commetterebbe più, ma io non mi stupisco se chi si è beccato un qualsiasi numero di anni di carcere una volta fuori torna a delinquere, uno non impara mica a vivere in comunità  standosene per anni chiuso in una cella a beccarsi violenze fisiche e psicologiche in continuazione... più comunità  e meno carceri, è questo il mio sogno

Togliendo la punizione ti giochi il deterrente. Le persone si sentirebbero maggiormente integrate e valorizzate se potessero istruirsi, lavorare, chiavare, guardarsi le partite in una tv al plasma. Le carceri devono essere quello che sono, la riformazione è soprattutto personale. Ad uno stupratore seriale non si insegna niente, gli assassini sanno che uccidere è nocivo.
Se poi parli di abusi e trattamenti ai limiti dell'umano dobbiamo fermarci al caso particolare. Non generalizzo perchè non conosco la realtà  delle carceri ma credo siano posti vivibili, stando ai reportage che passano ogni tanto.

Offline bart

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Re:Suicida in carcere la neo Br Blefari
« Risposta #30 il: 04 Novembre, 2009, 19:55:32 pm »
Le carceri devono essere quello che sono, la riformazione è soprattutto personale.
alcuni soggetti potrebbero aver bisogno d'aiuto, non credi?

Ad uno stupratore seriale non si insegna niente, gli assassini sanno che uccidere è nocivo.
vanno entrambi curati, o è forse preferibile rimetterli in libertà  dopo qualche anno di detenzione?

Non generalizzo perchè non conosco la realtà  delle carceri ma credo siano posti vivibili, stando ai reportage che passano ogni tanto.
mah, io non credo proprio...

bender89

Re:Suicida in carcere la neo Br Blefari
« Risposta #31 il: 04 Novembre, 2009, 21:05:52 pm »
alcuni soggetti potrebbero aver bisogno d'aiuto, non credi?
vanno entrambi curati, o è forse preferibile rimetterli in libertà  dopo qualche anno di detenzione?
mah, io non credo proprio...

I tuoi argomenti vanno bene per puffolandia. Il concetto di giustizia lo lasci per strada. La detenzione è prima di tutto deterrente, punizione. Un medico che opera ubriaco, tizio che favorisce amici nella vendita di appalti, l'operatore finanziario che si vende la mamma in un'operazione allo scoperto, devono essere puniti, non educati. I carnefici fanno vittime, vallo a raccontare a loro il "bisogno d'aiuto", la detenzione morbida e la scarcerazione facile.
La riabilitazione deve essere un impulso del singolo, lo stato deve mettere a disposizione mezzi adatti a verificarne la possibilità  di reintegrazione. Lo stato non ha il dovere di recuperare chi piscia sul contratto sociale, ma di acconsentirne il recupero, in certi casi. Detto ciò sono straconvinto che certa gente debba essere isolata vita natural durante e che fuori dalla società  debba essere messa in condizione di sudarsi il pane che mangia e mantenersi.

Offline Vino a Tavola

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Re:Suicida in carcere la neo Br Blefari - riflessioni sull'ergastolo
« Risposta #32 il: 05 Novembre, 2009, 00:38:10 am »
sulla realtà  carceraria sappiamo davvero poco o nulla, a parte il sovraffollamento

Offline kurz

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Re:Suicida in carcere la neo Br Blefari - riflessioni sull'ergastolo
« Risposta #33 il: 05 Novembre, 2009, 15:30:41 pm »
SI SUICIDA NEL CARCERE DI VERONA


Giugliano. Si impicca in carcere, stringendo alla gola l'unica cosa che aveva: una maglia.  Domenico Improta, 29 anni, è morto nel penitenziario di Montorio a Verona, dove era stato rinchiuso dopo una rapina.


Ora i suoi familiari chiedono verità  e giustizia. I fratelli minori di Domenico, Giovanni e Diego, i genitori e la giovanissima moglie Cristina, hanno sporto denuncia contro la struttura carceraria. Secondo quanto riferito ai legali dei familiari, venuti a conoscenza della morte del loro parente, solo ventiquattro ore dopo il decesso, Domenico era da venti giorni in isolamento, gli somministravano tranquillanti per le ripetute proteste contro gli altri carcerati, le guardie ed il direttore stesso. Il decesso, stando al referto medico, sarebbe avvenuto sabato scorso.


Improta è agitato, viene portato in infermeria, è sorvegliato a vista da una guardia, ma ciononostante riesce a sfilarsi la maglietta che indossa, ad avvolgerla intorno alla gola e a stringere fino a morire.


“Come è possibile – protestano i fratelli – che né la guardia né i medici si siano accorti di quello che stava facendo, e poi  - proseguono - ci spiegassero come può un ragazzo sedato, avere la forza di soffocarsi da solo”.


A supporto dei dubbi dei familiari un dato: nell’ultimo anno, nel carcere di Verona, si sono registrati più di 60 tentativi di suicidio. A testimoniare il suo amore per la vita, le letter che dal carcere scriveva ai fratelli, incoraggiandoli, invitandoli a non commettere i suoi stessi errori. Ora quelle lettere, sono tutto ciò che resta ai familiari insieme al desiderio di sapere cosa sia veramente successo e di affermare i diritti umani del loro congiunto e di tutti i detenuti per i quali il carcere dovrebbe essere riabilitativo
gesucrì

Offline bart

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Re:Suicida in carcere la neo Br Blefari - riflessioni sull'ergastolo
« Risposta #34 il: 05 Novembre, 2009, 18:32:07 pm »
SI SUICIDA NEL CARCERE DI VERONA


Giugliano. Si impicca in carcere, stringendo alla gola l'unica cosa che aveva: una maglia.  Domenico Improta, 29 anni, è morto nel penitenziario di Montorio a Verona, dove era stato rinchiuso dopo una rapina.


Ora i suoi familiari chiedono verità  e giustizia. I fratelli minori di Domenico, Giovanni e Diego, i genitori e la giovanissima moglie Cristina, hanno sporto denuncia contro la struttura carceraria. Secondo quanto riferito ai legali dei familiari, venuti a conoscenza della morte del loro parente, solo ventiquattro ore dopo il decesso, Domenico era da venti giorni in isolamento, gli somministravano tranquillanti per le ripetute proteste contro gli altri carcerati, le guardie ed il direttore stesso. Il decesso, stando al referto medico, sarebbe avvenuto sabato scorso.


Improta è agitato, viene portato in infermeria, è sorvegliato a vista da una guardia, ma ciononostante riesce a sfilarsi la maglietta che indossa, ad avvolgerla intorno alla gola e a stringere fino a morire.


“Come è possibile – protestano i fratelli – che né la guardia né i medici si siano accorti di quello che stava facendo, e poi  - proseguono - ci spiegassero come può un ragazzo sedato, avere la forza di soffocarsi da solo”.


A supporto dei dubbi dei familiari un dato: nell’ultimo anno, nel carcere di Verona, si sono registrati più di 60 tentativi di suicidio. A testimoniare il suo amore per la vita, le letter che dal carcere scriveva ai fratelli, incoraggiandoli, invitandoli a non commettere i suoi stessi errori. Ora quelle lettere, sono tutto ciò che resta ai familiari insieme al desiderio di sapere cosa sia veramente successo e di affermare i diritti umani del loro congiunto e di tutti i detenuti per i quali il carcere dovrebbe essere riabilitativo
non ho manco la forza di commentare, in che merda di paese viviamo...

Offline bart

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Re:Suicida in carcere la neo Br Blefari
« Risposta #35 il: 06 Novembre, 2009, 15:21:13 pm »
da la Repubblica di ieri:

Le tappe
Alla società  serve un percorso di reinserimento
RIDARE SENSO
ALLA PENA

Quando si parla di costruzione di nuove carceri per
dare una soluzione al problema del sovraffollamento,
bisognerebbe chiedersi quanto costerà  la
gestione di queste carceri e poi pensare all’efficacia
di questa spesa. Ci sono tanti modi di scontare una pena. Stare
chiusi in carcere a fare nulla perché non ci sono le risorse
per le attività , e neppure per educatori, psicologi e agenti, e
nessuna possibilità  di uscire con una misura alternativa in un
percorso graduale di reinserimento, è sicuramente il peggiore.
Il peggiore per i detenuti che non riescono a dare un
senso alla loro pena, e il peggiore per la società  che si vedrà 
restituire persone che in carcere si sono solo incattivite.
Questo è il sovraffollamento raccontato dai detenuti, galere
piene di corpi e vuote di senso.
Andrea: «In carcere ultimamente vedo arrivare ragazzi
sempre più giovani, consumati dalla droga, che passano le
giornate stesi in branda, da dove si alzano solo per prendere
quella che in galera si chiama la “Terapia”, quegli psicofarmaci
che ti permettono di anestetizzare la sofferenza e l’assenza
di speranza dormendo. Tutte le volte che incontro facce
giovani, io che in carcere ci sono finito quando avevo poco
più di vent’anni per reati legati alla tossicodipendenza, e
ora di anni ne ho trentacinque, mi si stringe il cuore a pensare
al destino che li aspetta: mentre io, per lo meno, la detenzione
l’ho vissuta non buttando il tempo, ma impegnandomi
in attività  che mi hanno aiutato a crescere, penso che per
loro il carcere sovraffollato di oggi sarà  solo tempo inutile».
Gentian: «Le giornate nelle galere sovraffollate passano tra
lunghe attese per andare in doccia e turni imbarazzanti per
usare il bagno. In quel viavai di gente, in mezzo a quel fiume
di angoscia, non puoi permetterti debolezze e distrazioni,
devi sopravvivere. In quelle condizioni è difficile che una persona
prenda coscienza dei propri errori ed accetti le proprie
responsabilità  per il reato commesso, e un possibile reinserimento
nella società  diventa quasi un miraggio».
Vanni: «Un frustrante senso di impotenza ti attanaglia
quando varchi la soglia del carcere, dove tutto sfugge al tuo
controllo. Progressivamente si dilata anche la percezione del
tempo: la giornata del detenuto è fatta con lo stampino, una
clonazione continua degli stessi identici movimenti. Ma oggi,
nelle galere sovraffollate, si logorano sempre più anche i
progetti di vita. E non vedo come i cinque educatori del carcere
in cui sono recluso possano lavorare seriamente al reinserimento
di ottocento persone, quando tutto si riduce a un
unico colloquio annuo (se va bene) di dieci minuti. Il fatto che
un’alta percentuale dei detenuti, che scontano la pena in carcere
fino all’ultimo giorno, torni poi a delinquere, dimostra,
ma nessuno sembra accorgersene, che i penitenziari non sono
luoghi ove si impara a compiere scelte più rispettose della
legge di quelle compiute in passato».
Sergej: «Quando sei costretto a lottare per la sopravvivenza,
le difficoltà  quotidiane assorbono tutte le tue energie e
non ti permettono di pensare ad altro. Né al tuo passato, su
cui invece avresti bisogno di riflettere per non ritrovarti, all’uscita
dalla galera, gli stessi problemi che avevi quando ci
sei finito dentro, né al tuo futuro, perché sei interamente preso
da un presente che non ti dà  tregua».
In galera di questi tempi si vive da cani, si sta stretti, capita
anche di dormire per terra, eppure farne prevalentemente
una questione di spazi, e proporre un piano carceri che preveda
solo nuove celle, ha poco senso: oggi questo carcere distrugge
nelle persone ogni progetto, ogni speranza, e un metro
in più cambierebbe poco.
ORNELLA FAVERO


Un’istituzione che non funziona più
DOVE REGNA
L’ILLEGALITà€

La pena detentiva nasce, nel pensiero dei riformatori
settecenteschi, come la pena “perfetta”:
uguale, perché colpisce un bene comune;
giusta, perché proporzionabile all’infinito;
utile, perché in grado di impedire la recidiva mediante
il trattamento rieducativo. Ma le istituzioni penitenziarie
già  sorte all’inizio dell’età  moderna versavano in
condizioni spaventose: la denuncia del loro degrado e
della loro indegnità  è immediata e vigorosa. Occorreva
trasformarle radicalmente. Si sviluppa così il tema
della riforma carceraria, che attraversa il XX e il XXI secolo,
con un impegno plurisecolare i cui esiti pratici somigliano
però alla carota appesa davanti al muso dell’asino.
Alla fine dell’Ottocento matura il frutto della
delusione e la consapevolezza dell’inanità : le nuove
parole d’ordine saranno la minimizzazione del ricorso
al carcere attraverso una miriade di alternative e la fuga
dalla pena detentiva mediante congegni deflattivi.
La finalità  rieducativa, asse ideologico portante della
pena “utile”, si riduce ad una formula retorica, che
oscilla tra l’autoritarismo disciplinare, il collante istituzionale
sezionato da Foucault, e l’aspirazione indefessa
ad un ruolo vicario della detenzione: agendo contro
il delinquente, fare quello che la politica sociale ha
omesso di fare per lui. Il primo è la negazione stessa della
rieducazione, perché la disciplina in un’istituzione
totale non può mai essere funzionale alle esigenze dell’internato,
ma al contrario rende questo funzionale alle
sue. La seconda si basa sull’inganno che sia possibile
educare all’uso della libertà  sopprimendola: insegnare
a correre legando le gambe.
Da sempre il carcere è inidoneo a svolgere la funzione
su cui sono state erette le sue fortune normative. Sopravvive
per ragioni che non hanno molto a che vedere
con la rieducazione, e che in Italia non la riguardano
affatto. Da noi, il degrado e la perversione riescono persino
a squarciare la cortina di invisibilità  che normalmente
rende cieca la società  civile e la “protegge” dallo
spettacolo della sua vergogna. Il nostro capolavoro
è di essere riusciti a rendere l’esecuzione penitenziaria
un fenomeno di illegalità , in contrasto manifesto con
le regole che pur ci siamo dati; anzi: un fenomeno criminoso,
perché il “trattamento rieducativo” si converte
in maltrattamenti. Il recupero della legalità  ha un
percorso obbligato: la garanzia dei diritti della persona
detenuta. Un programma serio e severo che Arturo
Rocco (il fratello di Alfredo) aveva già  tracciato nel
1910, opponendolo ai rieducatori d’antan. Se si parla
di garanzie, si parla di un giudice. Certo non dell’attuale
magistrato di sorveglianza, ridotto a inerme spettatore
dello sconcio e del degrado, ma un giudice posto
in grado di vincolare coercitivamente l’amministrazione
penitenziaria al rispetto dei diritti inviolabili della
persona detenuta, oppure – sia chiaro – di liberarla
da una condizione antigiuridica. àˆ un programma minimo
ma essenziale perché il carcere non assuma una
funzione diseducativa e criminogenetica. Non dimentichiamoci
che l’art. 27 della Costituzione, stabilendo
che “le pene” “devono tendere alla rieducazione del
condannato”, non stende un pannicello sulla piaga,
ma confeziona un bisturi. Che ne facciamo di una pena,
quella carceraria, nel momento in cui finalmente
riconosciamo che svolge la funzione contraria?
TULLIO PADOVANI

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è ufficiale, amo Tullio Padovani :sisi: