Si suicida in carcere la neo Br Blefari
E' polemica sulla sorveglianzaI legali: "Disagio sottovalutato, ma non siamo stati creduti". La Procura apre un'inchiesta
Ionta (Dap): "La sistemazione in penitenziario era corretta. Era relativamente tranquilla"
ROMA - La neobrigatista Diana Blefari Melazzi, in carcere per l'omicidio del professor Marco Biagi nel 2002, si è suicidata. Ieri sera, dopo che le era stata notificata la sentenza della Cassazione che confermava l'ergastolo, ha tagliato le lenzuola, le ha annodate con cura facendo un cappio e si è impiccata nella cella di Rebibbia. Secondo alcune indiscrezioni negli ultimi tempi aveva cominciato a collaborare. Gli inquirenti la dovevano sentire su Massimo Papini, 34 anni, romano, arrestato un mese fa con l'accusa di partecipazione a banda armata delle Br-partito comunista combattente, indagato anche dalla Procura di Bologna per la partecipazione all'omicidio di Marco Biagi. Intanto scoppia la polemica sulla detenzione ma il capo del Dap Franco Ionta assicura: "La sistemazione in carcere era corretta".
Il suo ruolo nelle nuove Br. La donna, che nel giorno dell'arresto si era dichiarata "militante rivoluzionaria del partito comunista combattente", era l'affittuaria del covo di via Montecuccoli, un appartamento dove i terroristi responsabili della morte di Biagi e D'Antona custodivano un arsenale con 100 chili di esplosivo e l'archivio delle "Nuove Brigate Rosse". Riconosciuta come "la compagna Maria" - che Cinzia Banelli indicò fra le staffette che seguirono il professor Biagi la sera dell'omicidio - alla Blefari sono stati attribuiti il noleggio del furgone usato per la preparazione dell'omicidio e la partecipazione al pedinamento a Modena. Sul suo portatile fu rivenuto anche il file con la rivendicazione dell'omicidio.
Profondo stato di prostrazione psichica. All'inizio della detenzione si era mostrata sicura di sé, ricalcando l'atteggiamento già assunto da Nadia Desdemone Lioce, la mente della nuova organizzazione terroristica. Ben presto però le certezze si erano incrinate, lasciando spazio a un profondo stato di prostrazione psichica. Il giorno della condanna in primo grado fece a pezzi tutto quello che riuscì ad afferrare. Una scena violentissima, seguita da astenia, autoisolamento, rifiuto del cibo e dei liquidi.
Per lei trattamento sanitario obbligatorio. I medici di Rebibbia chiesero un trattamento sanitario obbligatorio "in altra struttura più idonea", essendo concreto, così scrissero, il pericolo di vita per la detenuta. L'ultima perizia psichiatrica è datata aprile. Era stata disposta per verificare la sua capacità di stare in giudizio e quella di intendere e di volere, dopo che la terrorista aveva aggredito un agente di polizia penitenziaria.
Ieri la notifica dell'ergastolo. Dopo la condanna in primo e secondo grado la Suprema Corte, il 7 dicembre 2007, aveva annullato con rinvio la sentenza d'appello emessa nei suoi confronti sottolineando vizi di motivazione sulla sua condizione psichica. L'Appello aveva riesaminato il caso disponendo una perizia psichiatrica con la quale era stata accertata la capacità dell'imputata di stare in giudizio. L'ergastolo era quindi stato confermato il 27 ottobre, e ieri pomeriggio il verdetto le era stato notificato in cella.
Poi il suicidio con le lenzuola. Dopo poche ore, attorno alle 22.30, utilizzando lenzuola tagliate e annodate, Diana Blefari Melazzi si è tolta la vita. Ad accorgersi quasi subito dell'accaduto sono stati gli agenti di polizia penitenziaria: nonostante l'immediato intervento, per la neobrigatista non c'è stato niente da fare. La Procura di Roma ha aperto un'inchiesta per chiarire le cause del suicidio e ha disposto l'autopsia. L'indagine per ora è senza indagati, ma potrebbe essere riesaminato l'intero iter giudiziario della Blefari in considerazione della sua presunta patologia psichica, come emerso in questi anni dalle numerose richieste di consulenze.
"Un suicidio prevedibile". "Siamo sotto choc, abbiamo fatto tante battaglie, abbiamo cercato in tutti i modi di far riconoscere il suo profondo disagio. Ora è troppo tardi", commenta l'avvocato Caterina Calia. Il suo collega Valerio Spigarelli ammette di essere sconvolto così come non gli era mai capitato. "Era un suicidio prevedibile - fa eco il garante dei detenuti del Lazio, Angiolo Marroni - Le mie collaboratrici mi dicevano che era un caso drammatico". Della stessa opinione Patrizio Gonnella, presidente dell'associazione Antigone, che si batte per i diritti dei detenuti: "E' il sessantesimo caso di suicidio in carcere dall'inizio dell'anno, si tratta dunque di un emergenza a cui va data urgentemente una risposta".
Per lei attenta vigilanza e cella aperta. La neo brigatista non era più detenuta in 41 bis (il cosiddetto 'carcere duro') ma in regime di detenzione comune e, dopo una serie di trasferimenti dal penitenziario dell'Aquila a quello romano di Rebibbia passando attraverso l'ospedale psichiatrico giudiziario di Montelupo Fiorentino e il carcere di Sollicciano, lo scorso 21 ottobre era tornata nel carcere femminile della capitale dove le era stata assegnata una cella singola vicino al gabbiotto delle agenti di guardia. Nei confronti della Blefari sarebbero state adottate tutte le misure necessarie a una attento controllo. La direzione del carcere aveva infatti disposto che il blindato della cella della neobrigatista rimanesse aperto. La polizia penitenziaria, prima ancora che qualcuno sollevi dubbi sulla vigilanza della detenuta, fa sapere tramite una nota del sindacato Osapp: "Non abbiamo bisogno altre polemiche. Rebibbia è uno dei carceri più grandi d'Europa con il maggior disavanzo a livello di personale". E il capo del Dap Franco ionta, dopo un sopralluogo in carcere dice: "Ho constatato che la sistemazione in carcere di Diana Blefari Melazzi era corretta e che le recenti visite psichiatriche deponevano per una sua relativa tranquillità ".
Manconi: segnali di suicidio perché non protetta? Diana Blefari doveva essere ricoverata in una struttura psichiatrica protetta secondo Luigi Manconi, presidente di "A buon diritto" e sottosegretario alla Giustizia nel secondo governo Prodi, che ricorda: "Quando ero al governo mi interessai della Blefari, sollecitando l'amministrazione penitenziaria a seguirla con particolare attenzione perché già allora mostrava segni evidenti di instabilità psichica. Ne conseguì - prosegue Manconi - la declassificazione dal regime di 41 bis e l'assegnazione a un regime di sorveglianza a vista. Dunque, più che di un suicidio annunciato si è trattato di un atto proclamato, dichiarato. E le decine di perizie cui la Blefari è stata sottoposta sono lì a testimoniare di una condizione che avrebbe dovuto imporre il suo ricovero in una struttura psichiatrica protetta".
(1 novembre 2009)
http://www.repubblica.it/2009/11/sezioni/cronaca/suicidio-brigatista/suicidio-brigatista/suicidio-brigatista.htmlennesima vittima di quest'orrore giudiziario che corrisponde al nome di ergastolo, quante altre ne serviranno per far riflettere qualcuno?