Elisabeth Vogel, nota attrice, un giorno incomincia a rifiutarsi di parlare, chiudendosi in un ostinato mutismo. Le viene affiancata un'infermiera che incomincia a raccontarle la sua vita privata. Le confessioni della donna si fanno via via più intime. Ma l'attrice in una lettera svela i segreti dell'infermiera.Opera già matura per l'ancora incompleta filmografia di Bergman, opera matura per l'umanità intera, che nel 66' si trova (ir)risolto il problema esistenziale con un registro linguistico universale, mai manomesso se non in "quantità" e retorica. "(Ir)risolto" perché la chiave di lettura, l'unica possibile, è il "nulla" finale, l'ultima parola, la resa di fronte allo scrigno del subconscio umano.
Protagonista dell'indagine del film è la comunicazione, rivelazione di una coscienza trasfigurata dal sociale, quindi falsa. Il mutismo della protagonista vuole ergersi a momento autentico, ma finisce inesorabilmente col contaminarsi degli istinti terreni e positivi del secondo personaggio, alter ego "umano" del primo. La contaminazione diventa immedesimazione fisica, passando per uno stato di subcoscienza (reso attraverso suggestive scene oniriche di ispirazione bunuelliana) e giungendo a quello carnale, con l'alternanza di primi piani stretti, inisistiti e di rara espressività (qui Dreyer).
Comun denominatore è il dolore (poi ripreso magistralmente in Sussurri e grida), che unisce le due donne oltre ogni distinzione di natura sociale o comportamentale. Un dolore lacerante che non può essere taciuto, sottratto alla parola ma non al volto. Riprendendo Schopenhauer, Bergman propone una sorta di ascesi solidaristica come viatico alla miseria del vivere, sia la conoscenza del dolore atto di ricerca intellettuale o supplizio fisico. E' una forma di nichilismo estremo, deprimente, asfissiante, che Bergman somministra con asetticità e violenza (alla maniera in cui farà Mars fon Triter).
Mi piace pensare a un Bergman finito con Fanny & Alexander, con la ragione drogata dalla suggestione e dal misticismo. E' una via meno crudele quella della fede, in fin dei conti.
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