Ed è gia primavera
Ieri – probabilmente ieri – la giornalista del Tg La7, in coda all’edizione delle 13,30, chiosava speranzosa che sì, in Siria vedrete che andrà benone: il presidente Assad è giovane e ha vissuto a Londra. Dunque concederà le riforme richieste dal popolo. Nella stessa giornata – per gradire – venivano schierate ingenti forze di difesa a Latakia, in opposizione a scontri che avevano portato a 12 morti e 150 feriti. La promessa sospensione dello stato d’emergenza – in vigore dal ’63 – suonerebbe pure come cosa sentita, essendo già stata fatta balenare in più di un’occasione. E malgrado le accelerazioni di cui si legge nelle ultime ore.
L’uomo di W
Accelerazioni che già ieri, dunque, quasi incantavano la testata diretta da Mentana, che nel pomeriggio si lascia scappare un – forse poco accorto – “primavera siriana”. Poco accorto, o forse ancora poco credibile, almeno con questo establishment ormai compromesso: è ciò che crede – per dire – Elliot Abrams, membro del Council on Foreign Relations per gli studi sul Medio Oriente, e già consigliere di sicurezza nazionale per G. W. Bush e Reagan, in un articolo sul Washington Post di giovedì. Uno che al contrario, insomma, la bombetta la sgancerebbe sempre, nel dubbio: non si ricicla, e si mantiene sull’interventista.
Bashar aveva vissuto a Londra e voleva modernizzare la Siria. Ma la sua elezione, avvenuta con il 97,2 % di voti, ha fatto presagire che qualcosa sarebbe andato storto. Qualcuno ancora suggerisce che le riforme auspicate da Bashar siano state ostacolate dalle forze politiche intransigenti attorno a lui ma, nel corso del tempo, il consolidamento del suo potere personale e il crescente numero di prigionieri politici siriani e di omicidi nel Libano hanno reso poco plausibili queste motivazioni. Il tribunale speciale delle Nazioni Unite ritiene che il regime di Assad o Hezbollah o entrambi siano colpevoli dell’omicidio del 2005 del primo ministro libanese Rafiq Hariri. Le uccisioni di giornalisti e politici che criticavano il regime siriano avvenute per mezzo di autobombe hanno un solo mandante: il palazzo di Assad.
Chi se ne fotte di Damasco?
La linea del governo Obama, attualmente – parole della Clinton – è “non ci si deve aspettare che gli Stati Uniti siano coinvolti in Siria nella stessa misura in cui lo sono in Libia”. Abrams, in ideale risposta diretta, non concorda per un cacchio:
Il regime di Assad ha reso la Siria un sentiero attraverso cui i jihadisti entravano in Iraq per combattere e uccidere gli americani. Come oasi per i terroristi, la Siria ancora consente alla leadership di Hamas, insieme ad altri gruppi terroristici palestinesi, di vivere e lavorare a Damasco. Inoltre, un governo presieduto dalla maggioranza siriana sunnita – il clan di Assad proviene dalla ristretta maggioranza alauita – non avrebbe mai le intime relazioni con Hezbollah e con l’Iran che Assad invece ha; cercherebbe di reintegrarsi nel mondo arabo. Quando Assad cadrà l’Iran perderà la sua stretta alleanza araba e il suo ponte verso Hezbollah.
Piano Bush per la Siria
Intervenire intervenire intervenire, è il mood. Ma con cautela. In un ipotetico piano Bush, imbeccato dal consigliere Abrams:
Primo: ferme e ripetute condanne, non solo dalla casa Bianca ma anche da persone quali il senatore John Kerry che ha fatto visita ripetutamente ad Assad e ha parlato di migliorare le relazioni con il suo regime. Tutti quelli che sono stati ingannati da Assad dovrebbero condannare la sua sanguinosa repressione con maggior fermezza.
Secondo: dovremmo perseguire la Siria in ogni forum multilaterale disponibile, incluso il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e il Consiglio dei Diritti Umani. Gli altri dovrebbero deferire Assad alla Corte Criminale Internazionale. Non dovrebbero esserci ritardi, considerati gli spargimenti di sangue; questo è il momento di esigere azioni e interventi speciali per impedire ulteriori uccisioni. […]
Terzo: dovremmo chiedere ai nuovi governi di Egitto e Tunisia di indire immediatamente sedute della Lega Araba al fine di discutere sulla violenza in Siria. La Libia è stata espulsa; chiediamo che anche la Siria lo sia.
Quarto: esortiamo gli europei a parlare apertamente e ad agire contro il regime siriano. Le sanzioni degli Stati Uniti contro la Siria sono forti e adesso probabilmente non possono essere aumentate di molto, ma l’Ue in Siria ha molti più investimenti e attività commerciali. La Francia si è pronunciata favorevolmente in tal senso e potrebbe essere intenzionata a prendere l’iniziativa.
Reinventarsi un passato
In aggiunta al richiamo dell’ambasciatore americano a Damasco, come avvenuto per Tripoli sotto Obama in questi giorni. E non è detto che serva: “nessuna di queste azioni farà cadere il regime di Assad; solo il coraggio dei giovani siriani può farlo”.* All’orizzonte, attualmente, non si scorgono volenterosi.
Detto ciò, superati quasi certamente i cento morti in Siria e constatato il retroterra politico che muove le considerazioni di Elliot Abrams, ci si chiede da dove provenga l’ottimismo – dall’altra parte – della redazione del Tg di La7. Che in fatto di riciclaggio e nuove verginità per passati lievemente compromessi – come quella dello stesso Mentana – primeggia.
Fonte: Washington Post
Traduzione di Giada Tripepi per L’89
http://l89.radio30metri.com/?p=5593questo è un giornale dei tuoi carissimi amici e idoli americani. magari lo leggi e forse ti togli quelle fette di prosciutto davanti agli occhi.
(secondo me, cmq, sono stati un po' troppo duri con Mentana: non ho seguito i servizi del suo tg, ma da quando è passato a La7 (e già il solo passaggio è una cosa positiva ai miei occhi) mi sembra si sia comportato abbastanza bene)