Tra i fantasmi di un'ecatombe
i cadaveri nelle reti dei pescatori
Nel nord est del Giappone il mare comincia a restituire i corpi: i sopravvissuti a Otsuchicho li recuperano. Gli otto piani del municipio di Sendai sono stati trasformati in ricovero e ospedale
dal nostro inviato GIAMPAOLO VISETTI
OTSUCHICHO - All'oceano e al fango sono serviti quattro giorni per soddisfare la fame dello tsunami. Ma ora che gli elementi stanno riassumendo una collocazione consueta, la terra e l'acqua rigurgitano la vita che venerdì hanno preteso dal Giappone. Lungo i cinquecento chilometri della costa nordorientale oggi è il giorno dei morti. Migliaia di cadaveri, i resti che la nazione e il mondo avevano sperato di non dover mai fissare, affiorano sulle piagge trasformate in deserti sporchi e tra i flutti ritirati della risacca. Ogni insenatura nasconde file e cumuli di corpi, abbandonati dalla corrente. Sulla superficie del Pacifico, lungo una fascia di un chilometro dalla terraferma, un numero non calcolabile di cadaveri galleggia tra brandelli di barche e piante spezzate. I pescatori sopravvissuti a Otsuchicho, nella prefettura di Iwate, li recuperano con le reti. Li issano a bordo con le braccia, gonfi e blu, e molti riconoscono da brandelli di indumenti i famigliari perduti.
Tra qui e Minami-Sanrikucho, nella prefettura di Miyagi, mancano 30mila persone. Nelle sei prefetture maggiormente travolte dall'onda, non si hanno contatti con altri 40mila abitanti. Un centinaio di località sono ancora isolate e non raggiunte dalle Forze di autodifesa del Giappone. I senzatetto sono oltre mezzo milione. Trentamila gli edifici spazzati via, 50mila quelli pericolanti. Seicento città e villaggi non sono più collegati da strade e i fianchi di 140 colline sono stati spolpati dalle frane mosse da 200 violente scosse di assestamento. Anche oggi la terra seguita a scuotersi, i sopravvissuti sobbalzano di terrore e le prime operazioni di soccorso vengono ripetutamente interrotte dall'allarme di nuovi tsunami. Genitori e figli, rimasti intrappolati nella stessa stanza, si svegliano in centri di raccolta distanti decine di chilometri. I vecchi chiedono di morire e maledicono il destino che li ha risparmiati. I bambini sono scossi da incubi. Raccontano di sognare l'oceano che li trascina via e vengono assaliti da improvvisi singhiozzi.
Sull'isola di Honshu, il cuore del Paese, il presentimento dell'apocalisse, allontanato con fede dal governo di Tokyo, assume infine l'aspetto reale di un'ecatombe. Gli elicotteri sorvolano decine di città in cerca di qualcuno che si muova. Sotto però le città non esistono più e dalla sconfinata laguna, che si confonde con le campagne sconvolte, emerge una poltiglia indistinguibile di case, barche, auto, corpi, alberi, tralicci e cose quotidiane. Questi reperti dei giorni normali non bastano a restituire al paesaggio il profilo della familiarità. L'asfalto è scomparso, assieme alla gente e a ogni segnale di vita. Resistono eretti solo grovigli di binari, ponti tranciati e carcasse industriali. Il Nordest del Giappone è mutato in un mondo orizzontale, grigio, con la vegetazione rasata, su cui vagano rari superstiti e un milione di soccorritori. Scavano ancora con le mani, per trovare un oggetto, o un'indicazione con cui orientarsi. Su alcune zone nevica, è in arrivo la pioggia e le distese di carcasse stanno per rifondersi con il fango, formando un'impenetrabile palude. Chi non è morto, o sparito, combatte con la paura delle radiazioni.
Gli otto piani del municipio di Sendai, risparmiati dallo tsunami per pochi metri, sono stati trasformati in ricovero e ospedale. Centinaia di feriti sono stesi per terra. Nessuno fiata e chi è cosciente fissa i bambini radunati in una sala. Due medici distribuiscono dosi di ioduro di potassio, trasportato fin qui su una moto, che dovrebbe aiutare la tiroide a proteggersi dai veleni nucleari. La centrale di Fukushima è 90 chilometri più a Sud e gli sfollati pensano che dove non è arrivata la forza dell'oceano arriverà quella dell'atomo. La mancanza di energia elettrica, di acqua, di cibo e di benzina trasforma il freddo di ogni notte in una prova che non tutti superano. Nei luoghi non raggiunti dai soccorsi la gente inizia a chiedersi cosa si aspetti a inviare uomini e mezzi capaci di scongiurare un'altra catastrofe, che avrebbe il valore di una resa. C'è bisogno di tempo per abituarsi all'evidenza di un evento definitivo che si rivela più catastrofico dell'immaginabile.
Nella prefettura di Iwate le città di Onagawacho, Rikuzen-Takata, Tono, Sumitacho, Iwaizumicho e Kunohemura sono sepolte di melma. Su 86 mila abitanti, poche migliaia hanno comunicato di essere vivi. Le squadre di soccorso hanno preso atto con orrore che solo qualche centinaio di persone hanno raggiunto i dormitori allestiti a Ishinomaki, Onagawa, Tagajo, Kesennuma e Sauriku, considerato l'epicentro dello tsunami. Era una zona con trecentomila residenti: è stata cancellata e nessuno ha idea di dove sia finita la popolazione. Fino a oggi si era convinti che Yamadamachi, 19 mila abitanti, fosse stata in parte risparmiata. La città sorgeva a quattro chilometri dalla costa. Arrivandoci dalla spiaggia si scorge invece solo una montagna di macerie, sopra le quali è deposto un mercantile reclinato su un fianco. Takumi Sasaki è nata qui ma vive a Tokyo e ora è l'unico essere umano che si aggira tra i rottami. Per cercare i genitori si è messa lo zaino sulle spalle e ha percorso a piedi 130 chilometri in tre giorni.
Risalendo la prefettura di Miyagi mancano anche Ogatsu, a una decina di chilometri da Sendai, e non c'è traccia di Xintomei e Nobiru. Sulla sabbia che li ricopre sono allineati 363 corpi, avvolti in sacchi azzurri, mentre sul bagnasciuga di Higashi-Matsushima in una mattina sono affiorati 247 cadaveri, come conchiglie abbandonate. Può essere vano vagare lungo centinaia di chilometri di costa in cerca di assenze umane e forse il Giappone è atteso da prove più urgenti e ancora più dure. Ma fino a quando non si avrà un'immagine completa della catastrofe, a questo punto emotiva e morale prima che demografica ed economica, controllare le sue conseguenze si rivelerà un'illusione.
Nei primi tre giorni le località distrutte sono rimasti spazi morti e vuoti. Ora che iniziano a sorgere tendopoli e centri per gli sfollati, mentre palestre e stazioni si trasformano in ospedali, si impongono i problemi dei vivi. Migliaia di superstiti, ad esempio, hanno bisogno di un bagno e temono un'emergenza sanitaria. Non si accontentano più di arrangiarsi tra gli edifici crollati e rifiutano l'offerta di borse di plastica. Natsumi Hirayama arriva a Wataricho dopo tre ore di bicicletta e da un'autobotte di volontari ottiene due bottiglie d'acqua per tutta la famiglia.
Nell'impressionante massa degli scampati, c'è chi non si toglie le scarpe da venerdì e si scatena la sofferenza di ricordi che chiedono di essere espulsi, come un'infezione. Il dolore per chi non ce l'ha fatta prevale sul sollievo di chi c'è. "Sono salita in auto pochi secondi prima che l'onda mi inghiottisse - dice Makoto Mizenoya, maestra di Shintona - e sentivo dietro di me i passi dei miei genitori. Erano vecchi, lenti: li ho visti annegare abbracciati". Lo confermano i medici: venerdì il setaccio tra giovani e anziani è stato implacabile. Questione di secondi: chi non poteva contare sulla velocità, o su un mezzo a motore, non c'è più. Decisiva è stata anche la paura. "Sul ponte dietro l'aeroporto di Natori - dice Ai Matsuhashi - cinquanta persone guardavano il fiume che trascinava le case verso l'oceano. Gridavo di andare via, invece scattavano fotografie. È stato terribile: i piloni si sono spezzati e i corpi sono precipitati nel fango appesi a pezzi di cemento". Quello che resta di tale impasto sconvolgente di defunti, di scomparsi e di vivi senza più emozioni, fusi per sempre nei cumuli inutili di ciò che avevano realizzato in generazioni di progetti, sono le interminabili file di fogli di carta appesi sui muri delle strutture di primo soccorso. Nelle prefetture di Miyagi, Iwate e Fukushima, le liste di nomi, divise per categorie effettive o presunte degli individui, sono centinaia di migliaia. Coprono ogni edificio intatto e rappresentano l'epitaffio di un insuperabile dramma nazionale, che nessuno ancora osa sondare. "Perdere amici e parenti - dice Hiroshi Suzuki, docente all'università di Sendai - è un trauma personale che modifica il carattere. Assistere al crollo di una società ritenuta invincibile, di un intero territorio, delle strutture più avanzate della nazione-simbolo della modernità globale, può segnare il capolinea di una generazione e di un modello di sviluppo".
Poco prima della notte su ciò che resta di Otsuchi vengono paracadutati pacchi pieni di buste di pesce, di coperte, di maschere antipolvere e di medicine. La gente ha fame, avverte un gelo fradicio, teme la contaminazione, qualcuno grida invano i nomi dei propri da quattro giorni, ma nessuno si azzuffa per assicurarsi la prima scelta. Uno per famiglia si accosta agli involucri e preleva il minimo. A Namie-Fukushima un uomo di 64 anni viene issato con il verricello su un elicottero, dopo quattro giorni passati su un tetto di legno, ridotto a una zattera alla deriva nel Pacifico. È l'annuncio della volontà nazionale di non abbandonare questa gente e i militari cominciano a sgomberare almeno le strade principali delle zone distrutte. La popolazione, tra Nodamura e Okumamachi, ha però in testa solo una domanda: come si potrà rinascere, come sarà possibile rimuovere montagne di detriti, quanto tempo ci vorrà per ricostruire, dove si troveranno i fondi, chi vivrà abbastanza per rientrare in una cosa propria.
In Giappone è il giorno dei morti, si avverte la tentazione di cedere allo sconforto, ma Natsumi Iwata e Masaki Kawanami non hanno cambiato programma. Hanno vent'anni e oggi dovevano sposarsi. Sono di Ofunate e venerdì hanno perso nonni, genitori e fratelli. Sono rimasti soli, ma dopo quattro giorni con le mani nello tsunami sono andati a cambiarsi. Arrivano attorno al falò dove un centinaio di sopravvissuti cerca il caldo del fuoco. Sono vestiti da sposi, sorridono e si danno un bacio. I presenti si risvegliano dai loro pensieri e invece di piangere applaudono. L'amore è più forte della vita e questa notte nell'Honshu un matrimonio viene prima dei funerali.
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