Roma, 3 giu - Di Franco Bassanini, presidente della Cassa Depositi e Prestiti, tutto si può dire tranne che sia un uomo di Berlusconi. Per questo vale la pena di leggere con attenzione ciò che ha detto al festival dell’economia a Trento contro il referendum sull’acqua. Per una valutazione politica del suo intervento, ricordiamo che Bassanini è un ex senatore del Pd, è stato ministro in diversi governi di centrosinistra ed è tra gli amici più stretti di Giuliano Amato, che con Massimo D’Alema guida la Fondazione Italianieuropei. A differenza di molti esponenti di sinistra, Bassanini ha sempre avuto un merito, riconosciuto da tutti: l’onestà intellettuale e la franchezza di dire pane al pane e vino al vino. Da tempo, non dava più notizie di sé.
Ma, a Trento, si è tolto qualche sassolino dalle scarpe. E ha denunciato come meglio non si potrebbe l’autogoal che il Pd di Bersani sta mettendo a segno nel sostenere il “sì” ai referendum del 12-13 giugno. “Se dovesse passare il referendum sull’acqua” ha detto Bassanini “faremo un tragico passo indietro in direzione di una minore liberalizzazione”, e si porrebbero le basi per la rovina economica non solo per le aziende municipalizzate dell’acqua, ma anche per quelle dei trasporti locali e per la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti, poiché il referendum riguarda anche questi servizi pubblici. Quest’ultimo aspetto, sfuggito finora a tutti gli osservatori, è della massima importanza, poiché uno dei due referendum sull’acqua riguarda la tariffa, e non già l’ipotetica privatizzazione del servizio (che è oggetto del primo referendum). In particolare, il quesito numero due chiede all’elettore se è d’accordo nell’eliminare la norma di legge che consente al gestore di avere un profitto, indipendente da un reinvestimento per la riqualificazione della rete idrica. Questa, almeno, sarebbe la conseguenza inevitabile della abrogazione del comma 1 dell’art. 154 del decreto legislativo n. 152 del 3 aprile 2006, dove si parla di “adeguatezza della remunerazione del capitale investito”.
Impedire la remunerazione degli investimenti, sostiene Bassanini, provocherebbe un danno e “gravissimi problemi” a qualunque azienda, anche a quelle municipalizzate. Un fatto che i promotori del referendum “compresi alcuni ex liberalizzatori come il mio amico Bersani (parole di Bassanini; ndr) fingono di ignorare completamente”, tanto più che “la gestione pubblica di questi settori (acqua, rifiuti, trasporto locale) non è messa in pericolo”. Infatti, ha aggiunto Bassanini nel suo intervento (che riprendiamo per la chiarezza espositiva), “nella legge Ronchi-Fitto, che sarà sottoposta a referendum, c’è scritto che l’acqua resterà un bene pubblico, aspetto che non è affatto in discussione; è invece in discussione il modo con cui si affida la gestione dei servizi di captazione, distribuzione, depurazione dell’acqua, di raccolta, smaltimento, termovalorizzazione dei rifiuti, di trasporto locale”.
Già questo basterebbe a dimostrare che la conversione di Bersani e del Pd sui quattro “sì” ai referendum proposti da Di Pietro sa di improvvisazione e di strumentalizzazione politica, in netto contrasto con quanto lo stesso segretario del Pd ha sempre sostenuto in passato, quando si vantava delle sue “lenzuolate” liberalizzatrici. Non bastasse questo, per avere una conferma della confusione che regna ai vertici del Pd è sufficiente rileggere quanto Enrico Letta afferma oggi sul “Corriere della sera”, dove annuncia che voterà “sì” al referendum sulla privatizzazione dell’acqua, e “no” a quello sulla tariffa.
Ma non è tutto. Bassanini, nel suo intervento a Trento, ha spiegato che impedire la remunerazione degli investimenti delle aziende municipalizzate avrebbe conseguenze catastrofiche non solo sui Comuni, ma anche sul bilancio dello Stato. “Se gli investimenti nei tre settori (acqua, rifiuti, trasporto locale) saranno gestiti direttamente dalle aziende locali, sarà inevitabile che - a causa della mancata remunerazione - finiscano direttamente sul debito pubblico. In totale, si calcola che potrebbe trattarsi di 120 miliardi di euro nei prossimi dieci anni”. Un conto salatissimo, che finirebbe a carico dei contribuenti. A meno che non si investa più neppure un euro in questi tre settori, mandandoli in definitiva rovina. Ipotesi che Bassanini ha così commentato: “Siccome dobbiamo, per vincolo europeo, sanzionato ormai dall’Europa oltre che dai mercati, ridurre il debito pubblico del famoso 1/20esimo, praticamente del 3 per cento l’anno, come si farà ad investire in questi settori, che hanno disperato bisogno di investimenti?”.
Attendersi una risposta da Di Pietro e da Bersani, sembra del tutto inutile. Piuttosto, da cittadino, mi domando come e perché la Corte costituzionale possa avere avallato un referendum siffatto sulla tariffa di tre servizi pubblici essenziali, sapendo che la sua sterilizzazione a fronte di nuovi investimenti porterebbe a disastri finanziari tali da sopprimere in tutte le grandi città i servizi stessi. La cecità insita nella mera valutazione giuridica dei quesiti referendari, ignorandone le conseguenze economiche, è evidente. Ma a chi potranno mai chiedere i danni i cittadini che non condividono questa assurdità, se il referendum sulla tariffa dell’acqua riuscisse ad avere la maggioranza dei “sì”. Con quale faccia la Consulta potrebbe mai pronunciarsi sulla questione?