Terminati gli studi, il giovane Martino ritorna alla casa paterna in un villaggio della Danimarca: corre l'anno 1632 e tutto il paese è avvolto nella cupa atmosfera della riforma luterana. Martino è figlio di primo letto del giudice e pastore Assalonne Pederson, che, rimasto vedovo, ha sposato la giovane Anna. Martino fa ora la conoscenza della matrigna, che ha sposato suo padre non per amore, ma mossa da un sentimento di riconoscenza: il pastore ha infatti salvato dal rogo sua madre, accusata di stregoneria. Tra la matrigna e il figliastro sorge un amore improvviso, che Merete, la vecchia madre di Assalonne scopre ben presto.E' un dramma psicologico totale. Si parte da religione ed esoterismo per abbracciare amore e libertà, i più alti e immortali degli istinti.
Tolta la maestosità formale e la cura maniacale dei particolari scenografici e recitativi mi ha colpito la cadenza studiata delle azioni, condotte dall'inesorabile fatalismo proprio dell'umanità occidentale nell'epoca del rigore luterano. Il tempo è volere di Dio e gli uomini pensano di poter veicolare all'estremo la volontà di quest'ultimo, giudicando innocenza e colpevolezza, vita e morte. Il Dies Irae è cantato dai bambini e non c'è pena della morte se non nell'ipocrisia.
Anna diventa nel finale un' eroina non convenzionale che con la sua naturale aspirazione alla felicità si fa carico del riscatto del libero arbitrio. Non sarà compresa, tradita persino dall'amore che le aveva giurato fedeltà.
E' un lavoro attualissimo che assume maggiore impatto se inquadrato nel contesto della seconda guerra mondiale. Il mostro, superstizione, intolleranza o violenza irrazionale che sia, è sempre lo stesso.
Mi astipo mezzo voto per La passione di Giovanna D'Arco. Ma per colpa di qualcuno ho i sottotitoli senza film.

****1/2