C'e' qualcosa di nuovo oggi nel sole, anzi d'antico. Mi ispiro a Giovanni Pascoli per raccontare il vero, grande, immenso protagonista di questo mondiale sudafricano, campione ieri e allenatore oggi,sempre in prima pagina. Diego Armando Maradona. Era uno spettacolo ammirarlo in campo: poesia allo stato puro, intensa e "maledetta", pura e decadente.
Per me è stato uno dei più straordinari artisti del Novecento, un figlio di Borges. Ed è un divertimento vederlo in panchina: nel suo vestito da sposo, gli orecchini, la barbetta curata, il rosario tra le mani.
Agitarsi, chiedere scusa, dare via a un repertorio di smorfie che nemmeno Jerry Lewis all'apice della gloria poteva stargli alla pari, gioire, imprecare, mettersi le mani nei capelli per uno svarione del non troppo amato Milito, consolare Lionel Messi, applaudire, alzarsi, correre, chinarsi, cercare con lo sguardo le persone care, non far caso al ronzio delle micidiali vuvuzelas, parlottare con il fido Veron, frenare la tentazione di prendere il pallone e di partire veloce, proprio come al mundial messicano del 1986, quando,sì, segnò con la mano, ma anche con undici tocchi d'autore, lasciando senza fiato la retroguardia inglese.
Maradona è l'imperfezione che si è fatta perfezione,è l'asso rinato mille volte, provocatore e santo,peccatore e profeta, miseria e nobiltà . E noi, come ieri, siamo qui a dirgli: grazie, per esserci ancora in questo football che racchiude tutte le banalità del possibile. Lui no, lui non sarà mai pronto per il recinto delle buone cose: lui è l'Assoluto del Calcio, anzi è il Calcio.
Il verbo e la parola, la grammatica e l'algebra. Impossibile non stare dalla sua parte, non provare quel sentimento che sta in mezzo alla tenerezza e alla ammirazione. Ricordate? Lo avevano dato per perduto, confuso,smarrito. Invece: eccolo qui, di nuovo a un mondiale, a mettere in secondo piano Messi, Rooney, Cristiano Roinaldo, Kakà , e tutti gli altri allievi,più o meno meritevoli, più o meno degni. Darwin Pastorin.