

Il narratore postmoderno sa che tutte le storie sono già state raccontate.
Davanti a sé ha quattro strade: la prima è il banale riciclaggio (lo slasher contemporaneo, con rare eccezioni), la seconda l'omaggio cinefilo (Tarantino), la terza la parodia (i vari “Scary movie”, “Superhero movie”, “Epic movie”, “Date movie”...). La via che personalmente trovo più interessante è la quarta, cioè la variazione sui topoi del repertorio classico. Trovo l'operazione affascinante perchè estremamente rischiosa: che credibilità potrebbe avere, per esempio, un ibrido tra Rambo e un rape & revenge?
La scommessa di Shane Meadows e del suo Dead Man's Shoes è proprio questa: conferire a un prodotto di exploitation l'andamento e lo spessore morale di una tragedia greca. Un soldato ritorna a casa cambiato: la guerra ha fatto di lui un assassino professionista. Sfrutterà l'addestramento militare per vendicare il fratello. Ma per combattere i mostri devi diventare un mostro “e se scruti dentro l'abisso, l'abisso scruta dentro di te” (Nietzsche).
Analizziamo brevemente il trattamento di alcuni cliché.
Il dato che balza subito all'occhio – specialmente confrontando Dead Man's Shoes con il conterraneo Dorothy Mills (2008) – è la scelta cromatica: ai toni plumbei di Merlet, Meadows oppone lo smeraldo dei prati inglesi, creando un'effetto-cartolina straniante, perchè in totale contrasto con il dramma in atto. C'è del marcio nel verde Regno Unito.
Sebbene sia un utile strumento narrativo, il topos si rivela spesso un'arma a doppio taglio.
Si prenda la gestione dei flashback. Per segnalare allo spettatore lo scarto temporale, il regista ha scelto un bianco e nero con rigature (sfx digitale) della pellicola: a mio avviso questo è un caso di banale riproposizione di modelli classici stantii.
Si prenda inoltre l'uso massivo di camera a mano anche in scene non soggettive: esso è indubbiamente funzionale alla creazione di un clima d'angoscia; tuttavia risulta ben presto irritante perchè usato senza senso della misura (difetto che affligge anche l'ottimo The Strangers di Bertino).
Sospendendo il giudizio sui quesiti morali che il film pone, mi sento di consigliare Dead Man's Shoes soprattutto perchè riesce a evitare le due trappole della narrazione postmoderna, cioè gusto kitsch da una parte e pretenziosità dall'altra. Sin dai titoli di testa, si alternano filmati di famiglia e inquadrature di homecoming stile Rambo, allegro cazzeggio tarantiniano ed esecuzioni sommarie: non mi sembra esagerato affermare che Meadows, attraverso il continuo ribaltamento del comico nel tragico (e viceversa), sfiora vette di poesia inusuali per l'ignoranza del revenge movie canonico.
Certo, Dead Man's Shoes non è un meccanismo perfetto come l' “Agamennone” eschileo, ma non ha mai ambìto esserlo.