Con la promessa di uno sconto di pena Jake (Washington), condannato a vent'anni per uxoricidio involontario, ottiene sette giorni di libertà vigilata per tornare a Coney Island e convincere il figlio diciottenne Jesus (Allen), famoso e conteso giocatore di pallacanestro delle scuole superiori, ad accettare una borsa di studio della Big State University, cara al cuore del governatore dello Stato. Compito difficile: il figlio lo odia. Con questo suo film (n. 11) didattico, manicheo e predicatorio Lee conferma la sua vocazione di “fulminante moralista del mondo nero, antitradizionale predicatore della cultura sociale afroamericana contrapposta alla Gomorra dei costumi bianchi” (R. Menarini). Il basket è uno sport che si presta bene a essere filmato per molte ragioni, ma qui diventa un veicolo di comunicazione (quasi un codice simbolico-espressivo nel rapporto tra padre e figlio), metafora esistenziale, strumento di critica sociale. Nessuno aveva mai analizzato con lucidità altrettanto caustica un mondo e un sistema dominati dall'industria, dal potere, dal denaro, dalla politica dei bianchi, dai trafficoni italoamericani, dagli agenti mafiosi, dagli sfruttatori del circo mediatico. E' un toccante film drammatico con una importante parentesi sul basket americano e tutta la merda che gira attorno a quel mondo e nella periferia di NY. Ottima, come sempre, l'interpretazione di Denzel Washington e, per mia sorpresa, grandissima interpretazione di Ray Allen (giocatore dei Boston Celtics) che interpreta il personaggio principale del film. Spike Lee corona il suo sogno decennale di fare un film sportivo con questo film sul basket, dopo aver fallito la produzione di un film su Jackie Robinson (primo afroamericano nel baseball).
Salto le analisi da radical chic alla Fiorenzo o Peppewè

Voto:
****