Due sorelle si ritrovano al capezzale della terza, l'unica rimasta nubile, consumata dalla malattia, e ne attendono la fine.E' un film lancinante. Bergman gira nel bianco delle vesti dell'amorevole domestica e nel rosso della carne nuda, che più che il colore dell'anima mi è parso quello del dolore, della ferita aperta, in una ideale contrapposizione tra pace e turbolenza, anima e corpo.
Bergman affida la struttura del consueto impianto filosofico massimalista ad un corpo prossimo al trapasso, quasi quest'ultima fosse una condizione ideale a liberare l'anima e condurre il ricordo fino a una visione d' amore primordiale, materno. E il ricordo rappresenta l'unica scappatoia al dolore della carne corrotta dalla malattia o dalla degenerazione morale del mondo borghese rappresentato dalle sorelle. Anche queste ultime vengono configurate attraverso l'ideale contrapposizione tra anima e corpo: l'una lo violenta, l'altra vi si nasconde come dietro ad una maschera.
L'unico essere risparmiato a questa opera di dissociazione è la domestica, una donna addolorata ma rasserenata dalla fede. Una ideale vergine di Michelangelo, esempio virtuoso denigrato dalla società decadente. Essa rappresenta l'unico muro alle grida e la pietà come soluzione unica al dolore.
Visivamente è 'na cosa impressionante.
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