Lo yen e il patriottismo per rialzare la testa
di FEDERICO RAMPINI
SONO tornati al lavoro subito, poche ore di shock e la ricostruzione è già cominciata: eccoli, i friulani d'Estremo Oriente. I servizi pubblici essenziali sono stati riattivati in tempi-record, salvo naturalmente che per le zone vicine all'epicentro dove le distruzioni sono immani. Anche da là però arriva un'immagine-simbolo che è positiva: fa il giro del mondo la foto del giovane soldato occhialuto in tuta mimetica che trasporta un vecchietto sorridente sulle spalle: Enea e Anchise nella prefettura di Miyagi. Un'immagine che parla di confuciano rispetto degli anziani, proietta l'idea antica di una società coesa, solidale, insieme con l'efficienza moderna delle tecnologie antisismiche che hanno limitato certamente il bilancio dei morti. Perfino la logica spietata della finanza deve inchinarsi: come primo riflesso dopo il terremoto e lo tsunami lo yen si è rafforzato su tutte le altre monete mondiali. Sembra assurdo? No, accadde lo stesso dopo il sisma di Kobe nel 1995 (seimila morti, 100 miliardi di danni), quando in pochi mesi la valuta si rafforzò addirittura del 20% sul dollaro. "Sono i capitali giapponesi che rientrano dall'estero - spiegano a Wall Street - per partecipare alla ricostruzione".
Capitalismo e patriottismo, in Giappone anche questo è possibile. Perfino la politica si riscatta, è tutto dire. Tokyo stava ancora ondeggiando paurosamente per i tremori del primo shock e già alla tv il premier Naoto Kan parlava alla nazione, in tuta blu della protezione civile. "Appello
alla calma", e "unità nazionale per salvare il paese". Non sono slogan retorici. Una delle classi politiche più rissose e screditate del mondo si è ricompattata all'istante: polemiche zero, ci si rimbocca le maniche e tutti al lavoro. In quanto all'appello alla calma, era superfluo. Un'altra immagine emblematica è quella dei distributori di benzina con le file chilometriche di automobilisti per fare il pieno (le infrastrutture per gli approvvigionamenti sono colpite, e non solo nell'epicentro): anche lì regna l'ordine, la compostezza, la pazienza.
Il colpo all'economia è duro, nessuno lo sottovaluta. Oltre alle vite umane, comunque troppe, i danni si estendono ben al di là della zona più devastata. L'efficienza delle multinazionali giapponesi è legata ai metodi "just-in-time", stock ridotti al minimo essenziale, flussi tesi e velocissimi tra i produttori di componenti, le fabbriche di assemblaggio finale, la distribuzione. Se si spezzano dei nodi nelle infrastrutture di trasporto, l'ingranaggio a orologeria si ferma: e il Sol Levante resta un colosso mondiale in settori-chiave come l'automobile, l'elettronica, l'acciaio, la chimica. Una grossa raffineria petrolchimica vicino a Tokyo è andata in fiamme, la Cosmo di Chiba. Sony, Panasonic, Toshiba hanno dovuto chiudere molte fabbriche: si è fermata la produzione di apparecchi elettronici ma anche di microchip per i computer, batterie. Honda, Nissan, hanno diversi stabilimenti bloccati. Ma c'è anche chi prende questi provvedimenti per dare un contributo allo sforzo nazionale dei soccorsi. La Toyota ha sofferto danni relativamente contenuti alle sue dodici fabbriche eppure annuncia che lunedì tutte saranno chiuse: "Per consentire ai nostri dipendenti di partecipare alle operazioni di aiuti, curare familiari e amici, ricercare i dispersi".
Eppure l'impatto di questa catastrofe sull'economia, giapponese e mondiale, è ancora incerto e controverso. I mercati dell'energia hanno reagito in modo apparentemente schizofrenico: il prezzo mondiale del petrolio è andato giù, quello del gas naturale invece è aumentato. Sul mercato del petrolio, ha prevalso la previsione di una battuta d'arresto dell'economia nipponica, e poiché il Giappone resta il terzo consumatore mondiale questo dovrebbe far scendere la domanda. Ma l'allarme nucleare ha scatenato la previsione opposta sul gas naturale: un aumento dei consumi di gas per le centrali, nel caso che diversi reattori atomici restino fermi almeno temporaneamente. Domattina avremo un responso più preciso perché la Borsa di Tokyo sarà la prima del mondo a riaprire questo lunedì, grazie al fuso orario. Il sisma più potente nella storia del Sol Levante non avrà fatto perdere neppure mezza giornata lavorativa.
Perfino sulla crescita, non è detto che l'impatto finale di questa tragedia sia tutto negativo. Il Giappone era appena ricaduto nella sindrome del ristagno, con una ripresa quasi impercettibile. Colpa anche della struttura demografica con il tasso d'invecchiamento più pronunciato del mondo. Da quella semi-depressione non poteva tirarsi fuori a furia di investimenti pubblici, perché il rapporto debito-Pil è già oggi più elevato di quello italiano. Ora però la ricostruzione è un imperativo che fa passare in secondo piano i vincoli di bilancio. Gli Stati Uniti prevedono un rilancio della crescita giapponese, per effetto di una maxi manovra di lavori pubblici nelle infrastrutture. Dalle macerie di Hiroshima e Nagasaki, dall'annientamento di Tokyo nei bombardamenti americani che la trasformarono in un gigantesco rogo, i giapponesi sanno cosa vuole dire la ricostruzione.