Bilal, un ragazzo curdo diciassettenne, giunge a Calais nella speranza di oltrepassare clandestinamente la Manica e raggiungere la sua fidanzata Mina. Dopo un tentativo finito male, gli rimane un’ultima e folle possibilità : sfidare il mare, nuotando da solo verso la costa inglese… Il cinema francese ci appoggia le palle in bocca, sia per tematiche che per stile. Quì si parla di immigrazione con delicatezza ma senza sminuire la drammaticità del fenomeno. Tentativi di fuga falliti, miseria, illegalità . Ma anche di coppia attraverso il travaglio esistenziale dell'istruttore di nuoto di Bilal e della sua ex moglie. Le due relazioni affettive si intrecciano e si compensano. Ed è deprimente che un contrappunto narrativo in un film del genere riesca ad avere un'incisività che l'intera filmografia sui quarantenni nostrani si sogna. Abbondano i clichè del cinema autoriale europeo: silenzi, sguardi, tempi dilatati, un uso della musica quasi kieslowskiano (è la prima cosa che mi è venuta in mente, magari è solo perchè non ho molti altri riferimenti). Non è esattamente un pregio ma non è neanche il caso di lamentarsene. Da più fastidio l'esplicitazione di un'intolleranza che almeno spettatori italiani e francesi ben conoscono. Finale davvero toccante.
Voto: ***1/2Consigliato a quell'africano di Blackpower se non si addormenta

C'è anche un riferimento calcistico in due punti cruciali del film
