Una volta papà mi portò allo stadio. Lo avevo già visto dal di fuori, una tazza immensa senza manico. Papà mi dava consigli, non me li ricordo, ma so che tenevo la mano alla cintura del suo cappotto. A lui non piaceva tenere qualcuno per mano, nemmeno la tua vidi mai nella sua.
Lo folla era fitta, ma finché fu in movimento sembrava leggera, sembrava corrente, acqua che scivola nei canali, nelle chiuse agli sbocchi. Quando fu tutta ferma, seduta dentro il cerchio, vidi che non era più liquida, ma si era mutata in un sasso. Niente poteva solcarla, né un coriandolo dal cielo sarebbe caduto in terra: era un anello di pietra col vuoto in mezzo, era un anello che sarebbe andato al dito di chi avesse saputo infilarlo.
Non i colori, le maglie, il prato, la pista, non le corse dei calciatori e il tragitto spezzettato della palla: guardavo invece la folla. La sentii urlare, mi sembrò normale, uno starnuto. Una folla urla, altrimenti si disfa. Ma in qualche momento tratteneva il fiato. Quell’apnea era spaventosa, conteneva l’attesa. L’acqua era diventata pietra, gli uomini folla, il loro silenzio mi dava la vertigine di un precipizio. Mi tenevo alla cintura di papà in quei momenti.
Erri De Luca sulla sua prima volta al san paolo