SVIZZERA: LA MULTINAZIONALE CHE NON TI ASPETTI
Pensate ad una squadra nazionale che sia vincente e, paradossalmente, costituita di fatto da giocatori... non autoctoni, o perlomeno non sempre. Fatto? Beh, in tempi normali avreste pensato alla Francia e alla sua abitudine di razziare le giovanili di tutte le ex-colonie; da ieri, invece, si è inserita nel lotto una squadra che di colonie da cui attingere mai ne ha avute, per una nazione che si è sempre distinta per la sua capacità di farsi i fatti propri rimanendo fuori dai giochi del resto del mondo. (Parentesi: tutto ciò, in certi momenti storici, non necessariamente ha deposto a favore, anzi: vedi durante il nazifascismo.) D'accordo, ci siamo capiti: parliamo della Svizzera, e degli uomini più peculiari della sua nazionale odierna.
Anzitutto il vero e proprio personaggio del giorno, per partire. Un certo Ottmar Hitzfeld, nato a Là¶rrach: nessun posto migliore, si direbbe, dato che questa cittadina tedesca si trova a due passi dai confini francese e svizzero. In altre parole: un allenatore che, di per sé, ha già il DNA dell'internazionalità . Da aggiungere: come pochi altri (in tempi recenti, mi viene in mente giusto un altro tedesco: Otto Rehhagel, oltre a Lippi, ovviamente), al termine di una carriera di successi con i club, è riuscito adesso a riciclarsi efficacemente quale selezionatore di Nazionali: un lavoro che, non dimentichiamolo, è decisamente differente.
«La mia squadra ha fatto la storia: la Svizzera non ha mai battuto la Spagna in 105 anni, ma prima o poi doveva succedere, ed è successo adesso, nel momento più importante»: niente da eccepire (se non forse un fuorigioco "provvidenziale" ma meritato, diciamo). Ad ogni modo, sarà bene fare una panoramica generale di una nazionale che, lo ricordiamo, fino a 4-5 anni fa veniva data per finita. àˆ ovvio aspettarsi cognomi italiani, francesi e soprattutto tedeschi; ma se Padalino e Leoni sono locali, Barnetta e Benaglio sono di origini italiane (il portiere, ad esempio, ha i genitori "azzurri"); per il resto, Senderos è di padre spagnolo e madre serba, Inler e Yak?n di origini turche, Derdiyok è di famiglia curda, Behrami, Bunjaku e Shaqiri sono kosovari. E poi i due naturalizzati: il più famoso, Nkufo, è congolese, mentre Fernandes, l'autore del gol alla Spagna, è capoverdiano.
Nella società di oggi, una squadra del genere è quasi un simbolo: tre nazionalità "locali", più una messe di profughi di terre e destini sfortunati (curdi e kosovari), e di Paesi storicamente vicini (la Turchia con il mondo germanofono). Ci riempiamo la bocca di locuzioni come "villaggio globale", e poi non vediamo che è lì, riassumibile in 23 convocati e un CT straniero-ma-non-troppo (roba di pochi chilometri). Soprattutto: una "nazionale" sui generis, sì, ma che corre unita verso un unico obbiettivo; e che ha già consistenti scorte di energia (l'Under 17 ha vinto il Mondiale di categoria: un inedito assoluto da quella parte delle Alpi). Come ha detto lo stesso Gelson Fernandes: Â«àˆ il più bel giorno della mia carriera», ma «dobbiamo giocare ancora due partite». E qui sbaglia, perché potrebbe essercene almeno una in più.