Quando si cerca di confinare una serie televisiva in un determinato ambito di necessità in contrapposizione a un altro presumibilmente e artatamente più alto (la "datità": ma che 're?

), si commette l'errore più grave, perché quanto propone una serie televisiva è basato sullo stesso, identico principio di quanto hanno fatto prima la "madre cinematografica" e la "nonna teatrale" per secoli pur di portare a sé pubblico e spettatori paganti, at ca "datità". Si deve tornare al principio, alle radici, fare un bell'exursus di qualche millennio, chiedersi perché, in base a quali esigenze, si crea quel rapporto speciale e personalissimo esistente tra spettatore singolo e collettività con dramma proposto e interpreti dello stesso. Il principio è comune a tutte e tre le categorie e si chiama "empatia". La modalità e i tempi con cui esso è reso sono differenti.
Qui non si tratta di contrapporre una modalità di interpretare, proporre la realtà o disgiungersi da essa, si tratta semplicemente di aprire gli occhi su come evolve questa empatia tra spettatore e opera proposta che sta alla base del rapporto esistente tra ciò che vedono i nostri occhi, ciò che elabora il nostro pensiero nei confronti di quanto ci viene proposto e il grado di attrazione e di interesse che lo spettatore prova durante la visione.
I tempi cambiano. Basta seguirsi una puntata di Mad Men della durata di 45 minuti per capire quale sia il livello qualitativo e della sceneggiatura raggiunto da una serie televisiva e di esempi ne potrei fare a iosa. Di conseguenza non è un caso poi che ci sia stata una sorta di migrazione di parecchi attori cinematografici in serie o miniserie televisive, cosa che si guardavano bene dal fare negli anni ottanta e novanta, quando il prodotto era inferiore o non all'altezza delle produzioni cinematografiche di massa o di nicchia.
Sempre a livello attoriale quella che è sempre stata una grave pecca del settore cinematografico si trova sotto la voce "caratteristi", attori bravissimi, spesso relegati a ruoli di comprimari per favorire il "bello e il buono", il protagonista, o il cattivo sempre interpretato dal belloccio/bonazza o dannato/a di turno. Le serie televisive, molte di quelle attuali, restituiscono quella dignità che questi attori non hanno mai avuto nel cinema di massa e nemmeno in gran parte di quello dei circuiti alternativi. Non si chiamano più "caratteristi", ma Attori. le seire tv hanno tolto quella patina di perbenismo visivo che tanto cinema del passato e attuale ha utilizzato a loro discapito col risultato di ghettizzarli.
Infine si parla tanto di durata, di venire incontro alle esigenze commerciali, dimenticandovi, cari culturi del Cinema, che il Cinema si nutre e campa proprio delle stesse cose che rinfacciate al genere seriale: di pubblicità, di premiere in giro per il mondo, di sovvenzioni statali (che le serie non hanno), di finanziamenti (cacate colossali costate centinaia di mln di dollari a differenza del ridotto budget seriale) e che il "chist ha fatt chest e chlllat ha fatt chestat" sui quali fate tanto i sapuriti quando parlate di serie tv si chiama semplicemente "sceneggiatura", "arco narrativo", più o meno breve a seconda della durata, né più e né meno, cosa mutuata pari pari dal contesto cinematografico.
Diro di più e qui concludo: i tempi cambiano e cambiano pure con la modalità, le diverse modalità con cui si racconta, si propone una storia allo spettatore. Tra una decina di anni (nel piccolo e in misura assai ridotta sta succedendo pure per alcuni titoli già adesso), anche quelli comunemente definiti videogiochi potranno chiamare "bisnonna", "nonna" e "mamma" le categorie sopraccitate e sedersi al tavolo dei grandi. Non avvertire questo cambiamento evidentissimo dal 2000 in poi per quanto riguarda la produzione seriale, significa arroccarsi nel fortino, immaginarsi una realtà inesistente, darle quel tocco di aulicità in più per farla sembrare incomprensibile ai comuni mortali, a mo' di rifugio, offrendo così una definizione di Cinema astratta e incomprensibile, lontana dalla sua stessa natura, pur di non ammettere che il sorpasso c'è stato ed è pure bello evidente e sotto gli occhi di tutti da una decina di anni.