Abbiate pazienza, ma questa storia del rigore non dato sta diventando stucchevole. Capisco l’incazzatura epidermica durante la partita, io sono il primo a bestemmiare santi e madonne; però ora inizio a leggere di tabelle, numeri addirittura a due cifre, non ci danno un rigore da quattro mesi, scandalo.
Cazzate.
Nella lamentazione post orgasmica c’è tutto il piagnisteismo che ci rende famosi nel mondo, la vittimologia come unica e sola categoria dell’esistenza.
Io davvero vorrei abbracciare con simpatia chi ritiene che Napoli e i napoletani siano da anni, direi anche da sempre per non farci mancare davvero niente, bersaglio del sistema maligno che vuole solo la Juventus, poi anche l’Inter, però in realtà anche le due romane e oggi finalmente pure i potentissimi bergamaschi e domani i cinesi sbagliati sempre e comunque davanti a noi.
Anzi, no: perché a sto giro, per fare le cose per bene, la trimurti ha mandato Giua a tutelare le sacrosante ragioni dei sardi e di quelle altre sette o otto squadre che, vivaddio, possono finalmente dire di esserci arrivate davanti.
La verità è che questa squadra ha bisogno, prima di tutto, di chiarezza: chi sarà l’allenatore nei prossimi due anni; che fine ha fatto Ghoulam; chi e per quanto tempo rinnoverà; chi invece andrà via; qual è il portiere titolare e perché quello che è probabilmente il più forte giocatore della rosa una settimana gioca e le altre due accusa dolori al fianco; cosa è successo quella maledetta sera negli spogliatoi e chi ne assumerà la responsabilità; quali sono gli obiettivi di questa stagione.
Cose semplici e chiare, che consentirebbero all’ambiente di rifiatare e alla tifoseria di smorzare accelerazioni cardiache adolescenziali e soprattutto taglierebbero le unghie al giornalismo gramigno, che ormai cresce anche nelle fratte e che ha un po’ rotto il cazzo.
Poi: serve pazienza. Se prendi Gattuso, un allenatore giovane e inesperto, devi consentirgli di sbagliare – perché la sconfitta di ieri porta il suo nome, non quello del povero Milik, la cui unica colpa è quella di giocare in una squadra che ha ambizioni di vetta – e la società deve tutelarlo, anche di fronte ai tifosi incazzati, non latitare per dare in pasto alle bestie la testa del designatore arbitrale.