24 ore della vita (o delle vite) di monsieur Oscàr, che gira per Parigi a bordo della sua limousine, accompagnato solo dalla segretaria-autista Céline, attraverso i dieci appuntamenti di lavoro della giornata.Miglior film dell'anno per Cahiers du Cinema, vincitore morale del festival di Cannes per gran parte della critica nostrana, è il film col quale ritorna alla regia il francese Carax a 13 anni dal suo ultimo lungometraggio. Inizia col plagio di un paradigma lynchiano: un uomo (proprio il regista

) si sveglia, trova un varco nella sua camera da letto, lo attraversa, buio, riemerge in una sala cinematografica popolata da spettatori atrofizzati. Alla predica (stantia) fa seguito l'idea di cinema "nuovo" di Carax: l'assemblaggio libero di frammenti deliranti, meri saggi attoriali. Ne restano due impressi nella memoria, come incubi: un folle mangia fiori in un cimitero, rapisce Eva Mendes, la trascina nelle fogne, riproduce tableaux vivant, si addormenta sulle sue gambe col cazzetto eretto; Kylie Minogue, in un momento che si presume cruciale, canta un pezzo malinconico scritto probabilmente da un bambino delle elementari. Nel mezzo qualche lampo: le lapidi con impressi i siti internet dei defunti; la nostalgia per un cinema meno meccanico di quello contemporaneo. Molecole d'acqua in un fiume di sciorda che sarebbe il caso di far scorrere in qualche museo d'arte contemporanea piuttosto che nei cinema. Il peggior film che abbia mai visto.
Voto: *