In servizio attivo a Londra, una coppia di sicari è spedita dal boss in vacanza forzata a Bruges, in attesa di ordini. Nell'ultimo lavoro, il più giovane dei due ha ucciso per sbaglio un bambino. Primo lungometraggio di Martin McDonagh, a lungo commediografo. Mette assieme comicità sarcastica con punte di demenzialità, dramma e thriller. Sono ingredienti stridenti che producono risultati originali ma non sempre dal gusto gradevole. Semplificando, si potrebbe parlare di grottesco. I suoi personaggi sono adulti dal comportamento infantile e dalle personalità fortemente definite, pur nella loro paradossalità. In Bruges parte da uno spunto interessante: il complesso di colpa di un assassino di professione, la presenza di un rigoroso sistema morale anche per i criminali, il viaggio di redenzione/castigo. Ciò che non funziona è proprio il regista, totalmente privo di un'idea di messa in scena cinematografica: esagera con i primi piani perché incapace di gestire gli attori nello spazio; trasforma Bruges in una cartolina (neanche animata), ne sfrutta la sua bellezza per il suo fine. Ma, cosa ancora più grave, sia atteggia a demiurgo infrangendo a piacimento le regole della verosimiglianza: la polizia scova il protagonista per un reato veniale, si eclissa durante sparatorie a cielo aperto; alleati ed antagonisti si incontrano ripetutamente tra le strade della città belga manco si trattasse di un monolocale. Opera divertente, frizzante e di una certa originalità ma gravata dal fardello della supponenza di un regista mediocre.
Colin Farrell (un cane), premiato con un Golden Globe, si ispira per sopracciglioni, montatura degli occhiali e intercalare ("è un cesso") al Mattia De Martino di Ginostra
Voto: ***