ah una volta mi azzeccarono due paccaroni in faccia due bestioni che mi volevano fare na rapina, se la presero con me perchè il mio cellulare faceva schifo e nun tenevo n'euro 

Due rapine. Una volta nun tenevo niente e il tipo sul mezzo (che nun era manco sciso

) mi lasciò con un laconico "Mallaneme e chi t'a muort", accompagnato dalla mimica della mano e della faccia di Giovanni Guallera che soppesa il crociato.
N'ata vota, sempre sui 14-15 anni, mi beccarono con degli amici in una strada isolata. Erano in due e ci presero di lato con doje mullettelle in mano. Noi eravamo in 4 ma ce stetteme malamente. Arrivato il mio turno persi un orologio (un sector viecchio e scippato, ma mi piaceva assai) e contrattai per il telefonino. Avevo il Nokia 3330, all'epoca già abbastanza superato, "Ja, ma che t'o pigl' a fa stu mattone? E' nu cess

", "Vabbuo', tienatill. Nuje simme bravi mariuole".

Capitolo mazzate. La prima volta che acchiappai gli schiaffi tenevo 7 anni, ma mi ricordo come fosse ieri. Abitavamo in una cooperativa nelle salicelle e mia mamma si metteva paura di farmi scendere a giocare con i miei coetanei. Un giorno si convinse e mi lasciò andare giù al parco (un posto tranquillo e ben abitato). Non appena scesi, dei ragazzini più grandi che già mi pariavano addosso del balcone, mi facettero nuovo nuovo con spade e scudi di plastica.
Un altro episodio che ho già raccontanto, sempre risalente a quel periodo: dopo aver fatto amicizia con alcuni scesi con il mio pallone nuovo perché si era deciso di organizzare una partitella al campetto della cooperativa. C'erano pure guagliuni più grandi e attaccammo a giocare. Il pallone supera la linea del fallo laterale, uno della squadra avversaria se ne esce con "E' mia, la palla è mia". Non capii, non conoscevo le regole, risposi interdetto rivendicando la proprietà del pallone con le lacrime all'uocchje. Mi restituì il pallone insieme a nu paccarone a mana chiena. Tornai a casa carico di meraviglia.
Quando cambiai casa a 8 anni andai in un posto isolatissimo, pieno di campagne e case abbandonate, tutto popolato da cuozz e fravecatori. Là ci prendevamo a mazzate giornalmente per le biglie. Le biglie erano importantissime, più ne avevi ed eri bravo a vincerle più eri uno buono. Con tutte le figure sociali derivate, dal perdente che doveva ricominciare da zero giocando a buca (1 contro 1 con un pallino a testa) al vincente che girava sulla bicicletta agitando il marsupio chin. I paccari succedevano quando giocavamo a palummela con il palluottolo in mezzo. Funzionava così: c'erano due contendenti che lanciavano le biglie a turno, dal centro della strada al marciapiede. Al centro c'era una biglia più grossa ('o palluottolo). Per vincere tutte le biglie non bastava colpirne una (come succede con la palumbella normale) ma centrare il palluottolo. Capirete che la difficoltà aumenta, così come la posta in gioco. Si arrivava al punto che le biglie a terra erano talmente tante che entrambi i giocatori sapevano che da lì a poco, appena uno avesse centrato il palluottolo, si sarebbero trovati con le ginocchia a terra cercando di arraffarne quante più possibile, con fughe in bicicletta interrotte da cavece e pugni.
Oltre a queste liti ordinarie ne ricordo due con il mio migliore amico dell'epoca. Nella prima ce vattetteme per misurarci, e rimediai nu cazz 'e scippo mpiett in seguito al quale abbuscai pure a casa (non si bevvero la storia della jatta

), nella seconda mi vendicai. Prima gli azzeccai uno scardone nei raggi della bicicletta, poi lo abbuffai di mazzate quando scese minaccioso.
Un'altra appiccicata me la feci con un altro personaggio che abitava nei dintorni. Stavamo costruendo una casarella di legno in sei persone, nella campagna vicina al suo palazziello abusivo, raccattando gli scarti degli accampamenti abbandonati dagli zingari (divani stracciati, tavulilli, segge...). Questo si prese i soldi per comprare i chiodi ma ogni giorno se ne asceva con una scusa. Lo picchiai ma me sentiett n'omm 'e merda perché benché avessimo la stessa età lui era nu sorece.
Acchiappai gli schiaffi anche durante la gita in Sicilia che feci in terza media. Salendo in pullman, ingannato dalle fattezze grosse e chiatte, iniziai a spingere uno che pensavo fosse un mio caro amico "Jamm strunz, fa ambress". In realtà chist era Gennaro Moccia, nipote carnale della vedova che fa capo al noto clan camorristico. Mi chiavo' un paccaro potentissimo, e io ciuncai senza fiatare.
Sui 13-14 anni abbuscai da uno che faceva basket con me. Stavamo a fare un triangolare all'aperto che doveva aprire un evento di piazza, in un giorno di primavera in cui feci pure la conoscenza della gag del tatuaggio della scigna parlando con un tale su una vespa bianca che stava a bordo campo ("'Te piace 'o tatuaggio r'a scigna che tengo ngopp 'o polpaccio?" "Addo' sta? Nun 'o veco" "E' perché s'è juta a mangia' a banana" con conseguente maniata di pesce). Comunque niente, quel giorno stranamente ero in forma e jucaje buon. Quando finimmo e andammo a cambiarci negli spogliatoi di una scuola elementare lì vicino, il pivot che stava in squadra con me stava ntussecato perché diceva che non gli passavo mai il pallone. Una parola tira n'ata, questo mi azzecca nu buffettone. Io cercavo di avvicinarmi per ribattere ma era più alto e agile di me. Ogni volta indietreggiava e mi azzeccava un altro buffettone. Accussì 4-5 volte, fino a quando me stiett, pieno di stizza. Praticamente acchiappaje sulo.
Al liceo mi civilizzai e, tolte le amichevoli lotte che facevamo in classe (in cui ci struppiavamo più che in liti serie

), mi sono appiccicato solo due volte.
La prima fu con il capuzziello della classe. Giocavamo a lanciarci il cassino sporco e malauguratamente lo acchiappai in pieno volto, tra grasse risate. Chist venette vicino e iniziò a minacciarmi stringendomi la maglietta al collo. Nun ce verette chiù e gli azzeccai 4-5 cazzotti in pieno volto, tant'è che i giorni seguenti tornò con la faccia paunazza. Per lo scuorno non lo disse ai professori ma avvisò i suoi amici trappani delle altre classi. Seguirono giorni di intimidazioni e trattative. Poi la cosa cadde nel dimenticatoio.
La seconda volta fu a Capri, un primo maggio. Era una uscita galante, con due amici e tre femmene. Stavamo giocando a pallone sulla spiaggia quando un turzo di un mio amico (recentemente ho scoperto che è pure recchia) fece finire la palla nell'acqua, schizzando certi cafune in comitiva che stavano a prendere il sole sugli scogli. Vennero in gruppo sulla spiaggia e il tipo più intraprendente iniziò a chiedere "Si' stato tu a jittà 'o pallone int all'acqua?!". Tutti risposero no, io fui l'ultimo della lista. A me non fu domandato niente, mi arrivò direttamente nu paccarone a mana chiena. Risposi istintivamente allo stesso modo. Il seguito fu divertentissimo: io e quelli che erano con me andavamo via cacati sotto mentre questo tale imprecava con la lengua a fora ("T'aggia accirere, ncopp 'o bene 'e papà") mentre gli amici si erano messi in circolo a pariarlo ncuoll "Cioccolattino bott e risposta! Cioccolattino bott e risposta!".
L'ultimo accenno di rissa a Siena. Uscimmo di casa di una mia amica che stavamo già bevuti e jetteme a ballà in un posto. Due piscioni quarantenni iniziarono a cacare il cazzo alla mia ragazza di allora, quindi ne acchiappai uno e me lo trascinai fuori. Stavo per pigliarlo a cazzotti ma chist se mettette a parlà con tono dimesso e volle apparare. In realtà non capii nu cazz, ma mi sembrava così. Se ne andò, per mia somma fortuna, dato che scuotto come stavo avrei abbuscato pure da pollicino.