Autore Topic: Lo zoo di Venere (Peter Greenaway, 1986)  (Letto 3183 volte)  Share 

0 Utenti e 1 Visitatore stanno visualizzando questo topic.

Offline Genny Fenny

  • *
  • Registrazione: Apr 2011
  • Post: 21965
  • Voglia di Partenope
Lo zoo di Venere (Peter Greenaway, 1986)
« il: 06 Giugno, 2011, 14:15:47 pm »


Un incidente d'auto, provocato da un cigno che si abbatte sul parabrezza di una Ford-Mercury, causa la morte di due giovani donne e il ferimento della terza, Alba, che si trovava alla guida e che si vede amputata una gamba dal chirurgo-pittore falsario Van Meegeren, il quale le amputerà in seguito anche la seconda, perché la donna risulti copia vivente dei suoi quadri stravaganti. L'incidente lascia vedovi due entomologi gemelli ex siamesi, che lavorano per uno zoo, filmando i tempi e le fasi di disfacimento di animali morti...

Maniacale cura formale e un complesso impianto allegorico al servizio della dissacrazione dell'evoluzione e della dignità della specie umana. Lo zoo è un microcosmo umano in cui ogni essere vivente nasce e muore, subendo i medesimi impulsi della sessualità, dell'unione e del distacco.
La morte, e più in particolare la simmetria con la vita, è il tema centrale dell'opera. L'approccio dei protagonisti è scientifico, poi voyeuristico, cinico, maniacale. Le scene di decomposizione fanno da contraltare alle immagini di un documentario sull'origine della vita. La conclusione è l'estrema idea che tutti gli esseri siano parte del medesimo meccanismo di creazione e distruzione, con l'uomo escluso per depravazione intellettuale (vedi il ruolo dell'arte e della sessualità) e maggior coscienza del dolore.
Il filo conduttore che va da Alba alla Zebra è la simmetria delle parti. Vita e morte, bianco e nero, destra e sinistra. Ogni parte mancante necessita del suo completamento o della totale destrutturazione. Il resto è disfunzionale, quindi non vita.
Ho riflettuto sui vari simbolismi, ma ho paura di dilungarmi a vacante.
Arrivo al finale, la sarcastica e inconsapevole vittoria della natura più elementare sul bizzarro tentativo degli studiosi, a confermare la tesi iniziale.
E' un film pretenzioso, che poco lascia all'organicità del racconto, se di racconto si può parlare. Però affascina e non poco, tanto per l'impressionante impianto visivo che per la credibilità del messaggio. Poi l'aria alleggerita dal piglio grottesco, le musiche sperimentali di Nyman, la dimensione quasi onirica...è tempo piacevolmente speso.
****


Offline wendell

  • *
  • Registrazione: Ott 2009
  • Post: 35342
  • Sesso: Maschio
Re:Lo zoo di Venere (Peter Greenaway, 1986)
« Risposta #1 il: 06 Giugno, 2011, 14:39:49 pm »
Due fratelli etologi perdono le rispettive mogli in un incidente stradale causato da un cigno. Intratterranno una relazione morbosa con la donna sopravvissuta e dedicheranno uno studio ossessivo alla morte e alla decomposizione.
Opera seconda di Greenaway intasata di simbolisimi, strutturalmente complessa e imperniata sulla ricerca di simmetrie narrative, naturali e figurative.
Il segreto della vita è scrutato attraverso l'osservazione asettica dei suoi fenomeni, individuato nel suo equilibrio, nella sua perfezione.
Al rigore del metodo empirico adottato dai protagonisti fa eco quello formale, con una regia che perennemente ambisce all'inquadratura definitiva, geometricamente organizzata, in totale sintonia con lo stile del pittore fiammingo Vermeer, esplicitamente citato.
Il racconto c'è ma, a tratti, scompare secondo il volere del maestro inglese, convinto che il cinema sia troppo importante per lasciarlo fare ai narratori di storie.

Voto: 8


Questo film mi ha profondamente disturbato :icon_shaking2:



ps: Come sospettavo, ho scoperto che Cronenberg si è ispirato a Greenaway per il suo Inseparabili. Giovanni, che ne dici?

:look:

Giovanni, che ne dici? :fuga:
ho cercato di capire cosa sei.....terrificante.

Offline ziumberto

  • *
  • Registrazione: Dic 2009
  • Post: 828
Re:Lo zoo di Venere (Peter Greenaway, 1986)
« Risposta #2 il: 06 Giugno, 2011, 23:15:26 pm »
Ai miei tiempi Greenaway era culattone, ma forse frequentavo troppi frufrù che
della perfida Albione lo consideravano una delle cime, e tutto summato è cussì…
Ossessionato fin dai misteri della Compton House, dal caos delle passioni, il doppio, il sesso la carne, immerse nelle fredde simmetrie di ambienti maestosi, Greenaway è una gran faccia di cazzo, presuntuoso e barocco ma abile miscatore di arti.
Nella personale classifica Nyman supera Mertens che accompagnava le perete del chiatto mericano in Italia, ma ancor più vivo il ricordo del cuoco e l’amante, fino al top opulente e iridescente de L’Ultima Tempesta.
Dopo il cuscino m’addurmentaie e sugli ultimi potrei solo avvalermi di eventuali suggerimenti.
Film morboso che non ammorba, finale al mollusco,
marrattaie pure ma era l’età.

Doi palle pe doje,
però con quacche piluzzo.
« Ultima modifica: 06 Giugno, 2011, 23:31:39 pm da ziumberto »