A chiosa, ed aggiungo che su questi temi si senta la mancanza di un grande come Iolao.
I sintomi sono chiari. Prendete un buon liberale, perfino un ultrà del liberalismo, che ha sempre professato la propria preferenza per la libera impresa e il libero scambio. Parlate con lui della “crisiâ€. Converrà perfettamente sull’idea che essa è dovuta agli errori, o meglio alle malversazioni, operati dai responsabili della politica monetaria e finanziaria. Vi seguirà quando ricorderete che i subprime hanno avuto origine da organismi pubblici che distribuivano, su ordine del governo americano, crediti ipotecari immobiliari a persone che non erano nelle condizioni di rimborsarli.
Ammetterà che il lassismo monetario della Federal Reserve ha diluito la responsabilità di quanti operano nella finanza. Se ha qualche conoscenza tecnica, sarà d’accordo sul fatto che la finanza è sovraregolamentata, con regole stupide come quelle di Basilea 2. Enfatizzerà forse il suo scetticismo dinanzi ai “fondi sovrani†e altri marchingegni dirigisti immaginati dagli uomini politici. Ma alla fine vi sorprenderà affermando, con un qualche turbamento nella voce, che nel momento in cui la crisi c’è bisogna pur ricorrere ad un intervento delle finanze pubbliche. Bisogna salvare le banche dal fallimento, iniettando a tale scopo le liquidità monetarie necessarie, e per fare questo le banche centrali devono abbassare i tassi di interesse e gonfiare la massa monetaria.
Ecco l’ictus, ecco i bulloni saltati. Persone fino a quel momento sane di spirito, che hanno sempre aderito ai principi dell’economia dell’offerta, vengono ad ingrandire il campo dei keynesiani che professano i principi avversi dell’economia della domanda. Fautori della libertà economica e nemici dello Stato in tempi ordinari, nel momento della crisi diventano sostenitori dell’intervento statale e di una sorta di “libertà vigilataâ€.
Il mondo occidentale è stato colpito da una tale epidemia negli anni Trenta. La tesi di Keynes arrivava al momento giusto, per spiegare come da una parte la crisi era quella del capitalismo creatore di disoccupazione (quando invece era stata una crisi di dirigismo) e dall’altra parte che si poteva preservare qualche principio del capitalismo (come la proprietà privata del capitale) a condizione di condurre una politica di pieno impiego e di rilancio della domanda globale. Agli spiriti deboli il keynesismo appariva come il modo per salvare il capitalismo riducendo la libertà economica e puntando sull’intervento pubblico.
Eccoci nella stessa situazione. Per evitare una “crisi di sistema†(e cioè per evitare che il sistema capitalista sia distrutto da personaggi come Hugo Chavez e Olivier Besancenot) i malati contaminati applaudono ai piani di rilancio la cui immaginazione è senza fine, poiché si tratta di annunciare miliardi di aiuti, proprio mentre gli Stati sono in condizioni fallimentari.
La malattia riguarda tutte le fasce della popolazione. Ho apprezzato questo titolo apparso sui giornali: “I liberali dell’UMP si rallegrano dell’intervento crescente dello Statoâ€. Anche tra alcune persone che pure in precedenza passavano per intellettuali liberali ci si orienta, con la morte nel cuore, ad augurare l’inondazione monetaria al fine di evitare il fallimento delle banche. Dal momento che la crisi minaccia pure migliaia di imprese, si dà il proprio sostegno alla concessione di prestiti ingiustificati per salvare l’occupazione. Al momento, la sola preoccupazione keynesiana che non è stata ancora riproposta è il protezionismo puro e duro: fino ad ora la globalizzazione è stata salvata, nonostante i fondi sovrani abbiano un enorme successo.
Credo che il trionfo keynesiano sia dovuto all’ignoranza delle virtù del mercato: poiché nel mercato c’è il vero ed unico modo di uscire dalla crisi senza ricorrere allo Stato.
Si vogliono salvare i posti di lavoro? Gli impieghi non esistono e non durano se non sono al servizio della popolazione, adattandosi quantitativamente e qualitativamente a ciò che vogliono i clienti. Sopprimere impieghi non è un dramma quando altri e nuovi posti di lavoro vedono la luce. L’economia dell’offerta ci ricorda che il livello dell’occupazione dipende dalla libertà economica riconosciuta agli imprenditori, ai lavoratori e ai risparmiatori. Rilanciare l’economia significa mettere fine ai privilegi di cui beneficiano i parassiti.
Un grande piano di rilancio consiste dunque nel liberare la creatività e restituire ai francesi il denaro che è stato loro ingiustamente confiscato da uno Stato rapace e una previdenza pubblica vicina al collasso. Ma chi ne ha il coraggio?
àˆ più facile invocare l’alibi dei fallimenti bancari e delle imprese quotate. Ancora una volta, il mercato è la soluzione: quando i prezzi degli asset calano, o addirittura si fanno negativi, vi sono occasioni di acquisto da parte di altri, o possibilità di aumenti di capitale, così che gli investitori valutino la differenza tra costi e benefici. Ci saranno sicuramente dei terremoti, ma inferiori a quelli conseguenti a un finanziamento pubblico.
Bisogna tornare a Bastiat: ciò che si vede è “il salvataggio†delle banche, e ciò che non si vede è il costo dell’operazione. Il costo è l’inflazione, che a sua volta produce disoccupazione; il costo è il debito pubblico, che a sua volta genera ulteriori prelievi obbligatori (e fin da oggi, a causa degli interessi sul debito).
Ciò che i malati del keynesismo dimenticano, o ignorano, è che l’economia è distrutta da interventi che privano il mercato della sua virtù essenziale: ripartire le risorse rare in funzione dei bisogni reali della comunità , grazie a un sistema di prezzi sorti all’interno di un contesto concorrenziale. Dopo aver fatto pulizia del mercato, si chiama Keynes quale salvatore! àˆ giunto il momento di comprendere in profondità il funzionamento dei mercati. àˆ la migliore prevenzione contro questa terribile epidemia.