Autore Topic: La crisi economica e le ricette che non funzionano  (Letto 515 volte)  Share 

0 Utenti e 1 Visitatore stanno visualizzando questo topic.

Offline Full-of-lutamma

  • *
  • Registrazione: Ott 2009
  • Post: 2598
La crisi economica e le ricette che non funzionano
« il: 16 Dicembre, 2010, 12:10:39 pm »
Senza interventi pubblici, i tassi d'interesse sono quasi sempre troppo alti. Questa è la ragione per la quale l'umanità  non si è ancora liberata della povertà . Non c'è nessun buon motivo per cui i tassi d'interesse siano stati così elevati né perché debbano continuare a restare tali.

Il governo e i banchieri centrali devono abbassare i tassi d'interesse. I timori verso l'intervento pubblico nell'economia e per un aumento del denaro circolante sono malfondati. Se la politica monetaria riduce i tassi, l'obiettivo ultimo dovrebbe essere il livello zero. L'inflazione è un male, ma è improbabile che un boom porti a vera inflazione. Nel raro caso in cui ci sia piena occupazione, esistono rimedi migliori che alzare i tassi.

Le imposte progressive sul reddito aiutano a ridurre l'ineguaglianza economica. Se si stampa una gran quantità  di moneta ma i tassi non dovessero scendere abbastanza, bisogna inventare nuove misure. Anche le istituzioni globali devono aggiungersi a questa azione dei governi.

Il risparmio e la frugalità  sono una pericolosa illusione, perché deprimono i consumi. Anche il Cristianesimo ha la colpa di avere sposato la religione secolare del risparmio, che deprime i consumi. Aveva torto Say, l'offerta non crea la domanda, è invece la domanda che crea l'offerta. L'unico vero rimedio al fallimento del mercato azionario e del mercato degli investimenti è l'intervento del governo. Il controllo dell'economia da parte dello Stato non dovrebbe fermarsi a tassi d'interesse, investimenti, tassazione e tassi di cambio, ma procedere oltre. La risposta ai pochi investimenti come alla crisi viene dalla spesa pubblica e dallo Stato. I politici devono affidarsi non al mercato ma a «esperti» per ciascuno di questi interventi. Abbassare i salari nelle crisi è sbagliato, lo è a maggior ragione nei periodi buoni. Tra una politica salariale flessibile e una politica monetaria discrezionale, va sempre preferita la seconda.

Sono venti massime keynesiane una più sbagliata dell'altra, a giudizio mio personale. Confutarle, è davvero una bella exit strategy. Per gli Stati Uniti iperindebitati, per la crisi dell'eurodebito, per i guai che ancora pesano sull'intermediazione creditizia. Un programma impegnativo, per l'anno nuovo.

E' un articolo di Oscar Giannino


 

Offline Full-of-lutamma

  • *
  • Registrazione: Ott 2009
  • Post: 2598
Re:La crisi economica e le ricette che non funzionano
« Risposta #1 il: 16 Dicembre, 2010, 12:13:20 pm »
A chiosa, ed aggiungo che su questi temi si senta la mancanza di un grande come Iolao.


I sintomi sono chiari. Prendete un buon liberale, perfino un ultrà  del liberalismo, che ha sempre professato la propria preferenza per la libera impresa e il libero scambio. Parlate con lui della “crisi”. Converrà  perfettamente sull’idea che essa è dovuta agli errori, o meglio alle malversazioni, operati dai responsabili della politica monetaria e finanziaria. Vi seguirà  quando ricorderete che i subprime hanno avuto origine da organismi pubblici che distribuivano, su ordine del governo americano, crediti ipotecari immobiliari a persone che non erano nelle condizioni di rimborsarli.
Ammetterà  che il lassismo monetario della Federal Reserve ha diluito la responsabilità  di quanti operano nella finanza. Se ha qualche conoscenza tecnica, sarà  d’accordo sul fatto che la finanza è sovraregolamentata, con regole stupide come quelle di Basilea 2. Enfatizzerà  forse il suo scetticismo dinanzi ai “fondi sovrani” e altri marchingegni dirigisti immaginati dagli uomini politici. Ma alla fine vi sorprenderà  affermando, con un qualche turbamento nella voce, che nel momento in cui la crisi c’è bisogna pur ricorrere ad un intervento delle finanze pubbliche. Bisogna salvare le banche dal fallimento, iniettando a tale scopo le liquidità  monetarie necessarie, e per fare questo le banche centrali devono abbassare i tassi di interesse e gonfiare la massa monetaria.

Ecco l’ictus, ecco i bulloni saltati. Persone fino a quel momento sane di spirito, che hanno sempre aderito ai principi dell’economia dell’offerta, vengono ad ingrandire il campo dei keynesiani che professano i principi avversi dell’economia della domanda. Fautori della libertà  economica e nemici dello Stato in tempi ordinari, nel momento della crisi diventano sostenitori dell’intervento statale e di una sorta di “libertà  vigilata”.
Il mondo occidentale è stato colpito da una tale epidemia negli anni Trenta. La tesi di Keynes arrivava al momento giusto, per spiegare come da una parte la crisi era quella del capitalismo creatore di disoccupazione (quando invece era stata una crisi di dirigismo) e dall’altra parte che si poteva preservare qualche principio del capitalismo (come la proprietà  privata del capitale) a condizione di condurre una politica di pieno impiego e di rilancio della domanda globale. Agli spiriti deboli il keynesismo appariva come il modo per salvare il capitalismo riducendo la libertà  economica e puntando sull’intervento pubblico.

Eccoci nella stessa situazione. Per evitare una “crisi di sistema” (e cioè per evitare che il sistema capitalista sia distrutto da personaggi come Hugo Chavez e Olivier Besancenot) i malati contaminati applaudono ai piani di rilancio la cui immaginazione è senza fine, poiché si tratta di annunciare miliardi di aiuti, proprio mentre gli Stati sono in condizioni fallimentari.
La malattia riguarda tutte le fasce della popolazione. Ho apprezzato questo titolo apparso sui giornali: “I liberali dell’UMP si rallegrano dell’intervento crescente dello Stato”. Anche tra alcune persone che pure in precedenza passavano per intellettuali liberali ci si orienta, con la morte nel cuore, ad augurare l’inondazione monetaria al fine di evitare il fallimento delle banche. Dal momento che la crisi minaccia pure migliaia di imprese, si dà  il proprio sostegno alla concessione di prestiti ingiustificati per salvare l’occupazione. Al momento, la sola preoccupazione keynesiana che non è stata ancora riproposta è il protezionismo puro e duro: fino ad ora la globalizzazione è stata salvata, nonostante i fondi sovrani abbiano un enorme successo.

Credo che il trionfo keynesiano sia dovuto all’ignoranza delle virtù del mercato: poiché nel mercato c’è il vero ed unico modo di uscire dalla crisi senza ricorrere allo Stato.
Si vogliono salvare i posti di lavoro? Gli impieghi non esistono e non durano se non sono al servizio della popolazione, adattandosi quantitativamente e qualitativamente a ciò che vogliono i clienti. Sopprimere impieghi non è un dramma quando altri e nuovi posti di lavoro vedono la luce. L’economia dell’offerta ci ricorda che il livello dell’occupazione dipende dalla libertà  economica riconosciuta agli imprenditori, ai lavoratori e ai risparmiatori. Rilanciare l’economia significa mettere fine ai privilegi di cui beneficiano i parassiti.
Un grande piano di rilancio consiste dunque nel liberare la creatività  e restituire ai francesi il denaro che è stato loro ingiustamente confiscato da uno Stato rapace e una previdenza pubblica vicina al collasso. Ma chi ne ha il coraggio?
àˆ più facile invocare l’alibi dei fallimenti bancari e delle imprese quotate. Ancora una volta, il mercato è la soluzione: quando i prezzi degli asset calano, o addirittura si fanno negativi, vi sono occasioni di acquisto da parte di altri, o possibilità  di aumenti di capitale, così che gli investitori valutino la differenza tra costi e benefici. Ci saranno sicuramente dei terremoti, ma inferiori a quelli conseguenti a un finanziamento pubblico.

Bisogna tornare a Bastiat: ciò che si vede è “il salvataggio” delle banche, e ciò che non si vede è il costo dell’operazione. Il costo è l’inflazione, che a sua volta produce disoccupazione; il costo è il debito pubblico, che a sua volta genera ulteriori prelievi obbligatori (e fin da oggi, a causa degli interessi sul debito).
Ciò che i malati del keynesismo dimenticano, o ignorano, è che l’economia è distrutta da interventi che privano il mercato della sua virtù essenziale: ripartire le risorse rare in funzione dei bisogni reali della comunità , grazie a un sistema di prezzi sorti all’interno di un contesto concorrenziale. Dopo aver fatto pulizia del mercato, si chiama Keynes quale salvatore! àˆ giunto il momento di comprendere in profondità  il funzionamento dei mercati. àˆ la migliore prevenzione contro questa terribile epidemia.


 

Offline djcarmine

  • *
  • Registrazione: Nov 2009
  • Post: 39235
  • DIABLO VIVE
Re:La crisi economica e le ricette che non funzionano
« Risposta #2 il: 16 Dicembre, 2010, 12:48:18 pm »
è la ricchezza la ragione per cui l'umanità  non si è liberata della povertà 
ed io mi sentii in quel momento come una prostituta sverginata dai suoi aguzzini

C. Pazzo 
Noi vinciamo in quanto esistiamo. Vinciamo quando siamo in 60.000 per Napoli-Cittadella e quando ci ricordiamo di Esteban Lopez o di Picchio Varricchio. Vinciamo odiando le strisciate e vivendo in funzione di questa maglia. Vinciamo andando con un paio di amici allo stadio e non guardando la partita in casa da soli in un salotto di Reggio Calabria. Vinciamo quando siamo migliaia ad ogni trasferta, vinciamo quando uno juventino nella nostra città viene additato come essere anormale e malato di scabbia