Mi permetto di aggiornare visto le nuove scottanti notizie. Io però non mi limito ad elencarvi i fatti, sono sicuro che la maggior parte di voi li conosce già

, vi posto direttamente l'editoriale del Direttore MARCO DEMARCO:
Ora ci devono spiegare chi comanda in Campaniaàˆ inquietante perché se non decide Caldoro, allora davvero siamo già precipitati nell'oscurità più assolutadi MARCO DEMARCO
«Ma allora in questa sporca storia chi è che decide? E Sica a chi risponde?». Sono domande che dovremmo porci noi, noi osservatori delle sempre più oscure vicende campane. E infatti siamo qui a farci largo tra intrighi e dossier diffamatori nel tentativo di capire che cosa stia succedendo. àˆ però singolare, se non inquietante, che queste stesse domande se le ponga, su La Stampa di ieri, non un passante qualsiasi o un attento lettore di giornali, ma Stefano Caldoro, il presidente della giunta regionale, il leader che dopo sedici anni di bassolinismo dovrebbe dare senso e sostanza al principio dell’alternanza.
àˆ singolare, dicevamo, perché Caldoro dovrebbe saperne più di noi. Ed è inquietante perché se non decide lui, che è stato eletto proprio per questo, allora davvero siamo già precipitati nell'oscurità più assoluta. Insomma, in mano a chi siamo? Chi, in questo momento, è alla testa del treno? E dove ci sta portando? Aprire ora questo capitolo, nonostante il nostro governatore sia riuscito ad emergere indenne da un odioso complotto e proprio quando gli «infedeli» sono stati appena allontanati dalla giunta regionale, può suonare alquanto stonato. E invece no. Premessa, e non appaia formale, la nostra solidarietà al governatore, la polemica c’è tutta. E riguarda un aspetto niente affatto marginale della nostra vicenda politico-istituzionale. In gioco c’è l’autonomia del governo campano e, in altre parole, la sua stessa legittimità . Considerazioni e comportamenti del neogovernatore, infatti, appaiono, per molti versi, tutt’altro che chiari, quantomeno illogici. E se tali sono per ragioni superiori, diciamo subito che sarebbe il caso, almeno, di invocare apertamente la ragion di Stato.
In caso contrario, non è possibile usare due pesi e due misure.
Che cosa dicevamo a Bassolino quando cercava di discolparsi scaricando tutte le responsabilità su De Mita e Mastella? Che cosa gli obiettavamo quando insisteva nel ripetere che gli inciampi e i tonfi della giunta di centrosinistra si spiegavano con i continui condizionamenti di Ciriaco e Clemente e che quella scomoda e limacciosa alleanza gli era stata imposta per ragioni elettorali dal partito romano, da Prodi e dagli ulivisti? Con tutto il rispetto per le sue incontestabili difficoltà , a Bassolino dicevamo che stava menando il can per l’aia, e che avrebbe dovuto trovare altri alibi più convincenti, perché gli alleati e gli assessori non li ordinano imedici. E ognuno risponde delle proprie scelte o, se si vuole, delle proprie convenienze. àˆ per questo che siamo passati dalla prima alla seconda Repubblica. àˆ per evitare continue mediazioni e insopportabili ricorsi ai manuali Cencelli che si è deciso di eleggere direttamente sindaci e presidenti di province e regioni. I quali, a differenza del capo dello governo che non può scegliere in solitudine i ministri, né può revocarli, possono liberamente decidere a chi affidare il welfare e a chi i fondi europei, a chi il bilancio e a chi le attività produttive. Sindaci e presidenti devono, certo, tenere conto delle compatibilità , degli equilibri politici, delle rappresentanze di genere e territoriali, ma ciò non li può mai portare a svendere quella libertà e quella responsabilità che viene loro dal voto diretto degli elettori.
Orbene, se tanto valeva per Bassolino, non può non valere anche per Caldoro. Capita invece di registrare, nella sua recente condotta e in poco più di cento giorni di attività , parole e fatti poco rassicuranti. àˆ noto, ad esempio, come ha ricordato domenica Paolo Macry, che cosa Caldoro dichiarò a proposito dell’assessore Sica proprio nel giorno del suo ingresso in giunta.Lo incrociò alla presenza dei giornalisti e
gli disse: «Fosse stato per me non staresti qui». «Fosse stato per me», proprio così.
E per chi è stato, allora? Più furbi di Caldoro, altri, che di recente, cedendo ad un volere esterno, hanno inserito tra i propri assessori ex meteorine e vaporose stelline televisive, hanno fatto, come si dice, buon viso a cattivo gioco. E si sono assunti ogni responsabilità , sacrificando semmai la faccia, non il principio dell’autonomia istituzionale. Caldoro, invece, probabilmente per un soprassalto di orgoglio, ha voluto segnare il punto. Ecco perché va incontro a Sica e gli dice a muso duro quel che pensa. Per salvare la faccia rischia però di rimetterci altro e di più. Perché apostrofò in quel modo l’assessore che è sospettato di aver tramato alle sue spalle? Che cosa sapeva? E poi:
chi davvero ha voluto quell’uomo in giunta? Con quali motivazioni? E perché Caldoro ha ceduto? E, si badi bene, a cosa ha ceduto: a una semplice raccomandazione? A un’insistente segnalazione? A un malcelato ricatto? A cosa? Oggi Caldoro si chiede allarmato chi decide. Ma la nomina di Sica l’ha firmata lui e solo lui. E per Sica si è anche inventato un assessorato del tutto inutile come quello dell’Avvocatura. Con i tempi che corrono, era proprio necessario questo lusso? I dubbi sull’intera vicenda restano anche a caso formalmente chiuso. Anzi, ora che Sica ha firmato le dimissioni e, probabilmente in lacrime, ha confessato di essere «’o chiù scemo da compagnia», si ripropongono con ancora più forza. Caldoro, infatti, più che spingere perché si trovasse una soluzione, ha atteso imbarazzato che questa soluzione arrivasse autonomamente. àˆ stato in stand by non ore ma giorni. Per un tempo troppo lungo ha atteso dimissioni volontarie che tardavano a venire. Si è anche consultato con il coordinatore regionale del Pdl, il partito di Sica, nella speranza, forse, che potesse essere Nicola Cosentino ad alleggerirlo di quel peso. Come se la titolarità dei poteri istituzionali potese essere delegata ad un dirigente politico. Un simile atteggiamento non è spiegabile se non in un contesto di generale debolezza, e infatti non è stato spiegato. Non solo. Caldoro si era anche impegnato a non ricevere Sica se prima non si fosse dimesso. Così non è stato. Lo ha incontrato alle condizioni dell’«infedele». Perché? E perché ha preferito attendere l’evolversi degli eventi e non ha fatto l’unica cosa che era lecito aspettarsi da un governatore, vale a dire firmare con rigore e autorevolezza il provvedimento di revoca? Forse Caldoro, pur volendosi liberare di Sica, non voleva fare un torto a chi Sica lo aveva raccomandato. O forse ha voluto dare il tempo all’assessore di contrattare l’uscita di scena con il suo misterioso sponsor. Chissà .
In assenza di chiarimenti ogni deduzione è lecita. Finora i dubbi sull’autonomia di Caldoro nei confronti del governo nazionale vertevano su aspetti opinabili, quali il più o meno forte rapporto con Tremonti. E già molto c’era da dire su tale dipendenza da un ministro che non ha nascosto quale fosse il suo pensiero a proposito dei meridionali e che vedeva nella «prefettizzazione» quasi un segno del destino di Napoli e della Campania. Ma ora il tema dell’autonomia del nostro governatore assume tutta un’altra consistenza. Abbiamo già assistito al paradosso di un ministro che senza saperlo si è ritrovato tra le mani un regalo grande quanto una casa. Qui potremmo avere, invece, un governatore che non si è accorto di chi gli è entrato in casa, pardon in giunta. Partito da considerazioni molto simili a quelle fin qui svolte, ma probabilmente ispirato più da logiche correntizie che oggettive, l’onorevole Bocchino ha chiesto le dimissioni di Cosentino da coordinatore regionale del Pdl. Richiesta legittima, tanto più che Cosentino è stato raggiunto ieri da un ennesimo provvedimento giudiziario, è indagato per associazione a delinquere e violazione della legge Anselmi, quella sulle logge segrete. Se anche dovessero venire, comunque, queste dimissioni non ricomporrebbero il quadro istituzionale andato in frantumi. Perché a governare la Campania non ci sono né Cosentino, né Berlusconi, né Verdini, né chiunque altro possa essere sospettato di aver chiesto la promozione di Sica. Ma Caldoro. Così come prima, nonostante De Mita e Mastella, c’era solo Bassolino.
Ne vogliamo parlare?
