Autore Topic: Questo poliziotto è un nemico della giustizia e dei cittadini!  (Letto 1601 volte)  Share 

0 Utenti e 1 Visitatore stanno visualizzando questo topic.

Offline Vino a Tavola

  • *
  • Registrazione: Ott 2009
  • Post: 18356
  • Sesso: Maschio
  • Il Napoli ha attaccato brutto
    • www.parissangennar.com
Sotto accusa il capo della squadramobile napoletana Vittorio Pisani
Manganelli: perché quell'investigatore non può restare al suo posto
Se il poliziotto saluta i boss in cella
la lotta ai clan torna indietro di anni
Dal no alla protezione per l'autore di Gomorra alle regole per trattare con i camorristi: ora la sua carriera è a un bivio
di GIUSEPPE D'AVANZO

DUNQUE, non è vero niente. Il capo della Polizia, Antonio Manganelli, dice che ci sono molte buone ragioni per proteggere Roberto Saviano e non le dimentica: "Nessun timore. Confermo le misure di protezione per Saviano; anzi valuterò se rafforzarle".

Come non dimentica l'impegno a mettere in ginocchio i Casalesi, pubblicamente assunto il 18 maggio a Casal di Principe. Sono queste le parole di Manganelli: "Abbiamo ottenuto risultati straordinari e senza precedenti, ma non è finita. I Casalesi restano un'assoluta priorità  del ministero e delle forze di polizie".

C'è solo da tirare un sospiro di sollievo, allora, fare punto e passare ad altro? Sarebbe una irresponsabile leggerezza, credo. Bisogna chiedersi che cosa accade e perché. Perché un poliziotto competente come Vittorio Pisani, capo della squadra mobile di Napoli, si dà  da fare per screditare in pubblico la credibilità  dell'autore di Gomorra, perché lo fa in quel modo scaltro tra insinuazioni e notizie monche. Pisani dice al Magazine del Corriere della sera: "A noi della Mobile fu data la delega per riscontrare quel che Saviano aveva raccontato a proposito delle minacce ricevute. Dopo gli accertamenti demmo parere negativo sull'assegnazione della scorta".

Fuffa, aria fritta, gli avvertimenti? Saviano non corre alcun pericolo, non lo ha mai corso? àˆ un visionario o peggio un furbastro? Al poliziotto non può sfuggire (è troppo sapiente e ha buona memoria) che le sue conclusioni furono, tre anni fa, anche le conclusioni di Roberto Saviano. Interrogato, lo scrittore detta a verbale, più o meno: non voglio alcuna protezione, questi segnali sono insufficienti. Pisani non può ignorare che in questi tre anni (tre anni nel giorno delle sue dichiarazioni) è accaduto altro. La presenza di uomini dei Casalesi alle conversazioni pubbliche dello scrittore; le confessioni della moglie di un camorrista sulla volontà  del clan di zittire quella voce; le minacce in aula - dirette, esplicite - durante il processo "Spartacus"; il rinvio a giudizio di due capintesta dei Casalesi (Bidognetti e Iovine) per minaccia aggravata; le parole di Carmine Schiavone (zio di "Sandokan", il boss) che potete ascoltare oggi su Repubblica.it: "Saviano, sei condannato a morte e morirai quando intorno a te calerà  l'attenzione". Sono circostanze che, nel tempo, elevano la qualità  della protezione dello scrittore fino al terzo livello (il capo dello Stato ha il quarto) e sollecitano l'allarme, nell'ordine, del capo della polizia (Manganelli), di due ministri dell'Interno (Amato e Maroni), del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. E tuttavia Pisani non si cura né delle gerarchie né dei fatti. Li nasconde. Tira avanti e lascia cadere un'allusione maligna: "Bisognerebbe avere il coraggio di andare a cercare la giusta causa della minaccia". Non la ragione della minaccia, attenzione, ma la giusta ragione della minaccia, come se una minaccia della camorra a uno scrittore - tre anni fa, ventiseienne - possa avere un adeguato, condivisibile movente. Pisani è indifferente al destino di Saviano. Non si cura dei pericoli a cui lo consegna, delegittimandolo, isolandolo.

I conti non tornano più, a questo punto, perché chi diffonde quel veleno non è un avventato chiacchierone. Pisani è un poliziotto prudente, non è un uomo istintivo. Centellina le parole e quando apre bocca sa che cosa dice e che cosa vuole far sapere. àˆ un funzionario dello Stato di grande reputazione, destinato a una luminosa carriera nel prossimo decennio. Perché, incurante delle decisioni dell'intera catena di comando (questore, prefetto, capo della polizia) e delle convinzioni dei più alti rappresentanti delle istituzioni (ministro, capo dello Stato), l'accorto Pisani demolisce la reputazione di Roberto Saviano?
Confesso subito un cattivo pensiero in tempo di bastonature per i non conformi. Appena dieci giorni, in piazza del Popolo, Saviano ha detto: "Quello che sta accadendo dimostra una vecchia verità  e cioè che verità  e potere non coincidono mai. La libertà  di stampa che vogliamo difendere è la serenità  di lavorare, la possibilità  di raccontare senza doversi aspettare ritorsioni".

Ritorsione. Ecco, è la parola giusta. Il cattivo pensiero è proprio questo: le parole del poliziotto possono essere la rappresaglia per la presa di posizione di Saviano, di cui si può tollerare il denudamento del potere camorristico, ma non le critiche al potere politico e all'azione del governo?

àˆ una suggestione che va abbandonata, se si legge per intero l'intervista del poliziotto. Pisani sostiene che Gomorra "ha avuto un eccessivo peso mediatico", come se illuminare quel network criminale, conosciuto agli addetti, ma ignorato dall'opinione pubblica sia stato un errore. Pisani sostiene che "per rapportarsi alla criminalità  organizzata ci sono regole deontologiche che, come il rispetto della dignità  umana, vanno rispettate". Come se un romanzo che racconta la morte di un prete - don Peppino Diana - possa umiliare la dignità  umana. E di chi poi? Degli assassini? Pisani sostiene con vanto: "Quando io vado a testimoniare, gli imputati mi salutano dalle celle". Che dire, contento lui. Pisani sostiene di essere stato in contatto con "un latitante, un confidente leale". A maggior chiarezza, aggiunge che sono "falsi moralismi" i rilievi di chi critica "l'eccessiva vicinanza di alcuni agenti ai confidenti dei clan". Pisani si autocelebra: sono i suoi metodi che hanno consentito addirittura di "pacificare" Napoli, dove oggi ci sono "soltanto" settanta omicidi all'anno.

Lette le opinioni del poliziotto, la faccenda si fa più chiara. Pisani - per conto di chi lo sa chi - non vuole punire Saviano per le sue parole sulle ritorsioni del potere contro chi prende la parola e cerca la verità . Il poliziotto vuole censurare l'ostinata intransigenza dello scrittore; la convinzione che lo induce a credere che "la legalità  deve essere la premessa di un lavoro e non il risultato"; il rifiuto di ogni compromesso e mediazione con chi fa della violenza e della morte lo strumento del suo potere.

Cade l'umore ad ascoltare - oggi, nel 2009 - le opinioni di Vittorio Pisani, a trent'anni giusti dall'assassinio di Boris Giuliano. Boris Giuliano era il capo della squadra mobile di Palermo, lo ammazzò Leoluca Bagarella il 21 luglio del 1979, sparandogli alle spalle in un bar. Fu il primo poliziotto, in quella melmosa Palermo, a non accettare le seduzioni del "quieto vivere" imposte, a Roma, dai governi democristiani e, a Palermo, da Cosa Nostra.

A saperla valutare, la cultura professionale di Pisani ci precipita con una capriola all'indietro a quegli anni bui quando Stato e potere criminale si danno di gomito. E chi non ci sta, finisce accoppato perché, nelle istruzioni dei governi, Stato e Mafie devono allegramente convivere e assicurarsi un reciproco sostegno. Poco rumore e delitti ridotti al necessario soddisfano lo Stato; libertà  di manovra e opportune distrazioni ingrassano il crimine organizzato; tutti vivono felici e contenti.

àˆ la cultura poliziesca che ha dannato Bruno Contrada, capo della squadra mobile di Palermo nel 1973. àˆ la filosofia che ancora oggi si intravede nelle manovre del generale del Ros, Mario Mori, quando nel 1992 "tratta" con Vito Ciancimino una tregua con Cosa Nostra. àˆ una strada che pensavamo fosse stata chiusa per sempre perché corrompe lo Stato e potenzia le Mafie. Ora delle due, l'una: o quella via è ancora aperta e Pisani può restare a fare il suo lavoro a Napoli o, dopo le catastrofi degli anni ottanta e le tragedie dei novanta, quel metodo è stato definitivamente abbandonato e Pisani non può più restare a Napoli.



Non dico cosa meriterebbe questo Pisani, immaginatelo voi  :smoke:


Offline utost

  • *
  • Registrazione: Ott 2009
  • Post: 72
Re:Questo poliziotto è un nemico della giustizia e dei cittadini!
« Risposta #1 il: 15 Ottobre, 2009, 15:01:31 pm »
Ci sono uomini piccolisssimi..  :sisi:

Offline Vino a Tavola

  • *
  • Registrazione: Ott 2009
  • Post: 18356
  • Sesso: Maschio
  • Il Napoli ha attaccato brutto
    • www.parissangennar.com
Re:Questo poliziotto è un nemico della giustizia e dei cittadini!
« Risposta #2 il: 15 Ottobre, 2009, 15:17:50 pm »
Ci sono uomini piccolisssimi..  :sisi:
ma sto pisani non è piccolo. è il capo della squadra mobile di napoli, ed ha anche compiuto degli arresti.

è maligno e farabutto, il che è molto peggio

Offline Il professore di Vesuviano

  • *
  • Registrazione: Ott 2009
  • Post: 7528
  • Località: Portici
  • Sesso: Maschio
  • ULTRAS!
Re:Questo poliziotto è un nemico della giustizia e dei cittadini!
« Risposta #3 il: 16 Ottobre, 2009, 00:38:12 am »
dovrebbero portare giustizia e sono i primi a farne a meno.......
vergogna !!!!  :mazza: :mazza: :mazza: :mazza:
Ultras allo stadio come nella vita!

Offline Vino a Tavola

  • *
  • Registrazione: Ott 2009
  • Post: 18356
  • Sesso: Maschio
  • Il Napoli ha attaccato brutto
    • www.parissangennar.com
Re:Questo poliziotto è un nemico della giustizia e dei cittadini!
« Risposta #4 il: 16 Ottobre, 2009, 11:51:38 am »
Roberto dice la sua, dall'alto del suo intelletto, della sua determinazione, della sua umanità , della sua coerenza, della sua onestà .


Io, la mia scorta
e il senso di solitudine
di ROBERTO SAVIANO

"LO VEDI, stanno iniziando ad abbandonarci. Lo sapevo". Così il mio caposcorta mi ha salutato ieri mattina. Il dolore per la protezione che cercano di farmi pesare, di farci pesare, era inevitabile. La sensazione di solitudine dei sette uomini che da tre anni mi proteggono mi ha commosso. Dopo le dichiarazioni del capo della mobile di Napoli che gettano discredito sul loro sacrificio, che mettono in dubbio le indagini della Dda di Napoli e dei Carabinieri, la sensazione che nella lotta ai clan si sia prodotta una frattura è forte.

Non credo sia salutare spaccare in due o in più parti un fronte che dovrebbe mostrarsi, e soprattutto sentirsi, coeso. Società  civile, forze dell'ordine, magistratura. Ognuno con i suoi ruoli e compiti. Ma uniti. Purtroppo riscontro che non è così. So bene che non è lo Stato nel suo complesso, né le figure istituzionali che stanno al suo vertice a voler far mancare tale impegno unitario. Sono grato a chi mi ha difeso in questi anni: all'arma dei Carabinieri che in questi giorni ha mantenuto il silenzio per rispetto istituzionale ma mi ha fatto sentire un calore enorme dicendomi "noi ci saremo sempre".

Mi ha difeso l'Antimafia napoletana attraverso le dichiarazioni dei pm Federico Cafiero De Raho, Franco Roberti, Raffaele Cantone. Mi ha difeso il capo della Polizia Antonio Manganelli con le sue rassicurazioni e la netta smentita di ciò che era stato detto da un funzionario. Mi ha difeso il mio giornale. Mi hanno difeso i miei lettori.

Ma uno sgretolamento di questa compattezza è malgrado tutto avvenuto e un grande quotidiano se ne è fatto portavoce. Ciò che dico e scrivo è il risultato spesso di diversi soggetti, di cui le mie parole si fanno portavoce. Ma si cerca di rompere questa nostra alleanza, insinuando "tanti lavorano nell'ombra senza riconoscimento mentre tu invece...". Chi fa questo discorso ha un unico scopo, cercare di isolare, di interrompere il rapporto che ha permesso in questi anni di portare alla ribalta nazionale e internazionale molte inchieste e realtà  costrette solo alla cronaca locale.

Sento di essere antipatico ad una parte di Napoli e ad una parte del Paese, per ciò che dico per come lo dico per lo spazio mediatico che cerco di ottenere. Sono fiero di essere antipatico a questa parte di campani, a questa parte di italiani e a molta parte dei loro politici di riferimento. Sono fiero di star antipatico a chi in questi giorni ha chiamato le radio, ha scritto sui social forum "finalmente qualcuno che sputa su questo buffone". Sono fiero di star antipatico a queste persone, sono fiero di sentire in loro bruciare lo stomaco quando mi vedono e ascoltano, quando si sentono messi in ombra. Non cercherò mai i loro favori, né la loro approvazione. Sono sempre stato fiero di essere antipatico a chi dice che la lotta alla criminalità  è una storia che riguarda solo pochi gendarmi e qualche giudice, spesso lasciandoli soli.

Sono sempre stato fiero di essere antipatico a quella Napoli che si nasconde dietro i musei, i quadri, la musica in piazza, per far precipitare il decantato rinascimento napoletano in un medioevo napoletano saturo di monnezza e in mano alle imprenditorie criminali più spietate. Sono sempre stato antipatico a quella parte di Napoli che vota politici corrotti fingendo di credere che siano innocui simpaticoni che parlano in dialetto. Sono sempre stato fiero di risultare antipatico a chi dice: "Si uccidono tra di loro", perché contiamo troppe vittime innocenti per poter continuare a ripetere questa vuota cantilena.

Perché così permettiamo all'Italia e al resto del mondo di chiamarci razzisti e vigliacchi se non prestiamo soccorso a chi tragicamente intercetta proiettili non destinati a lui. Come è accaduto a Petru Birladeanu, il musicista ucciso il 26 maggio scorso nella stazione della metropolitana di Montesanto che non è stato soccorso non per vigliaccheria, ma per paura.
Sono sempre stato fiero di risultare antipatico a chi mal sopporta che vada in televisione o sulle copertine dei giornali, perché ho l'ambizione di credere che le mie parole possano cambiare le cose se arrivano a molti.

E serve l'attenzione per aggregare persone. Sarò sempre fiero di avere questo genere di avversari. I più disparati, uniti però dal desiderio che nulla cambi, che chi alza la testa e la voce resti isolato e venga spazzato via com'è successo già  troppe volte. Che chi "opera" sulle vicende legate alla criminalità  organizzata e all'illegalità  in generale, continui a farlo, ma in silenzio, concedendo giusto quell'attenzione momentanea che sappia sempre un po' di folklore. E se percorriamo a ritroso gli ultimi trent'anni del nostro Paese, come non ricordare che Peppino Impastato, Giuseppe Fava e Giancarlo Siani - esposti molto più di me e che prima di me hanno detto verità  ora alla portata di tutti - hanno pagato con la vita la loro solitudine. E la volontà  di volerli ridurre, in vita, al silenzio.

Sono sempre stato fiero, invece, di essere stato vicino a un'altra parte di Napoli e del Sud. Quella che in questi anni ha approfittato della notorietà  di qualcuno emerso dalle sue fila per dar voce al proprio malessere, al proprio impegno, alle proprie speranze. Molti di loro mi hanno accolto con diffidenza, una diffidenza che a volte ha lasciato il posto a stima, altre a critiche, ma leali e costruttive. Sono fiero che a starmi vicino siano stati i padri gesuiti che mi hanno accolto, le associazioni che operano sul territorio con cui abbiamo fatto fronte comune e tante, tantissime persone singole.

Sono fiero che a starmi vicino sia soprattutto chi, ferocemente deluso dal quindicennio bassoliniano, cerca risposte altrove, sapendo che dalla politica campana di entrambe le parti c'è poco da aspettarsi. Sono sempre stato fiero che vicino a me ci siano tutti quei campani che non ne possono più di morire di cancro e vedere che a governare siano arrivati politici che negli anni hanno sempre spartito i propri affari con le cosche. Facendo, loro sì, soldi e carriera con i rifiuti e col cemento, creando intorno a sé un consenso acquistato con biglietti da cento euro.

àˆ stato doloroso vedere infrangersi un fronte unico, costruito in questi anni di costante impegno, che aveva permesso di mantenere alta l'attenzione sui fatti di camorra. àˆ stato sconcertante vedere persone del tutto estranee alla mia vicenda esprimere giudizi sulla legittimità  della mia scorta. La protezione si basa su notizie note e riservate che, deontologia vuole, non vengano rese pubbliche. Sono stato costretto a mostrare le ferite, a chiedere a chi ha indagato di poter rendere pubblico un documento in cui si parla esplicitamente di "condanna a morte". Cose che a un uomo non dovrebbero mai essere chieste.

Ho dovuto esibire le prove dell'inferno in cui vivo. Ho esibito, come richiesto, la giusta causa delle minacce. Sento profondamente incattivito il territorio, incarognito. Gli uni con gli altri pronti a ringhiarsi dietro le spalle. Molti hanno iniziato a esprimere la propria opinione non conoscendo fatti, non sapendo nulla. Vomitando bile, opinioni qualcuno addirittura ha detto "c'è una sentenza del Tribunale che si è espressa contro la scorta". I tribunali non decidono delle scorte, perché tante bugie, idiozie, falsità ? Addirittura i sondaggi online che chiedevano se era giusto o meno darmi la scorta.

Quanto piacere hanno avuto i camorristi, il loro mondo, lì ad osservare questo sputare ognuno nel bicchiere dell'altro? Dal momento in cui mi è stata assegnata una protezione, della mia vita ha legittimamente e letteralmente deciso lo Stato Italiano. Non in mio nome, ma nel nome proprio: per difendere se stesso e i suoi principi fondamentali. Tutte le persone che lavorano con la parola e sono scortate in Italia, sono protette per difendere un principio costituzionale: la libertà  di parola. Lo Stato impone la difesa a chi lotta quotidianamente in strada contro le organizzazioni criminali. Lo Stato impone la difesa a magistrati perché possano svolgere il loro lavoro sapendo che la loro incolumità  fa una grande differenza.

Lo Stato impone la difesa a chi fa inchieste, a chi scrive, a chi racconta perché non può permettere che le organizzazioni criminali facciano censura. In questi anni, attaccarmi come diffamatore della mia terra, cercare di espormi sempre di più parlando della mia sicurezza, è un colpo inferto non a me, ma allo stato di salute della nostra democrazia e a tutte le persone che vivono la mia condizione. Sento questo odio silenzioso che monta intorno a me crea consenso in molte parti
Sta cercando il consenso di certa classe dirigente del Sud che con il solito cinismo bilioso considera qualunque tentativo di voler rendere se non migliore, almeno consapevole la propria terra, una strategia per fare soldi o carriera.

Ma mi viene chiesta anche l'adesione a un "codice deontologico", come ha detto il capo della Mobile di Napoli, il rispetto delle regole. Quali regole? Io non sono un poliziotto, né un carabiniere, né un magistrato. Le mie parole raccontano, non vogliono arrestare, semmai sognano di trasformare. E non avrò mai "bon ton" nei confronti delle organizzazioni criminali, non accetterò mai la vecchia logica del gioco delle parti fra guardie e ladri. I camorristi sanno che alcuni di loro verranno arrestati, le forze dell'ordine sanno in che modo gestire gli arresti che devono fare.

Lo hanno sempre detto a me, ora sono io a ribadirlo: a ognuno il suo ruolo. La battaglia che porto avanti come scrittore è un'altra. àˆ fondata sul cambiamento culturale della percezione del fenomeno, non nel rubricarlo in qualche casellario giudiziario o considerarlo principalmente un problema di ordine pubblico.

Continuare a vivere in una situazione così è difficile, ma diviene impossibile se iniziano a frapporsi persone che tentano di indebolire ciò che sino a ieri era un'alleanza importante, giusta e necessaria. So che è molto difficile vivere la realtà  campana, ma c'è qualcuno che ci riesce con tranquillità . Io non ho mai avuto detenuti che mi salutassero dalle celle, né me ne sarei mai vantato, anzi, pur facendo lo scrittore, ho ricevuto solo insulti. Qualcuno dice a Napoli che è riuscito a fare il poliziotto riuscendo a passeggiare liberamente con moglie e figli senza conseguenze. Buon per lui che ci sia riuscito. Io non sono riuscito a fare lo scrittore riuscendo a passeggiare liberamente con la mia famiglia. Un giorno ci riuscirò lo giuro.
© 2009 Roberto Saviano. Published by arrangement
with Roberto Santachiara Literary Agency