Mazzarri: «Troppi giovani mediocri sono arrivati in A»
Gioventù bruciata. «Abbiamo perso per strada almeno due generazioni di campioni». Walter Mazzarri, 49 anni, allenatore livornese di San Vincenzo, pareva destinato a grandi risultati da calciatore, quando era considerato l’erede di Antognoni. Invece sta dando il meglio di sé in panchina: dalla salvezza miracolosa (da -15) con la Reggina, alle qualificazioni europee conquistate con Samp e Napoli, a cui s’è legato per altre tre stagioni. «Ai tecnici bisogna dare il tempo di lavorare. Ma per uscire dal tunnel c’è bisogno soprattutto di più organizzazione, pure in campo. Nemmeno un fuoriclasse può vincere da solo».
Nascono sempre meno campioni. Che fine ha fatto la scuola italiana?
«Paga la crisi economica. I tagli delle società hanno danneggiato soprattutto i vivai. La scelta di affidare i nostri giovani ad allenatori meno costosi, ma anche meno bravi, sta abbassando il livello medio del calcio italiano. Perfino in serie A, da un po’, arrivano giocatori con evidenti limiti tecnici e tattici. Generazioni gettate via».
Come se ne esce, Mazzarri?
«Tornando a investire sui giovani. Imbottire ogni anno le squadre con calciatori già formati, stranieri e non, eccita i tifosi e magari può essere funzionale al merchandising. Ma fa danni dal punto di vista economico — con milioni di ingaggi da pagare — e soprattutto tecnico. àˆ impossibile lavorare con organici così numerosi».
Il suo Napoli sta tentando una nuova via: a casa i giocatori in esubero, anche se esperti, in ritiro i ragazzi della Primavera. Basterà ?
«Con noi c’è pure l’allenatore della Primavera, oltre ai giocatori più promettenti. Lavoriamo in sinergia, stesso modulo tattico per tutte le formazioni del Napoli: il salto in prima squadra dei ragazzi, così, dovrebbe essere meno complicato».
Basterà riscoprire i giovani per rialzare la testa?
Â«àˆ il primo passo, ne occorrono altri. I presidenti diano più tempo e fiducia ai tecnici. Si può crescere solo privilegiando le prestazioni, poi i risultati arrivano».
Bel gioco e vittorie: è il modello spagnolo.
«Non necessariamente: è sbagliato imporre agli allenatori un canovaccio, anche se personalmente credo molto nel calcio propositivo, votato all’attacco».
Il calcio è ancora divertimento, in Italia?
«Più goliardia tra i tifosi non guasterebbe, vero, ma per gli addetti ai lavori è diverso. Siamo professionisti, mica pagati per divertirsi. Non c’è un altro campionato in Europa con le pressioni del nostro: ogni domenica una battaglia. E poi ci portiamo dietro lo stress nelle coppe e in Nazionale».
Brutta figura, al Mondiale.
«Ma resto con Lippi: può capitare a tutti una competizione storta. Del Sudafrica ci tornerà utile una lezione: vanno avanti le squadre più organizzate, non quelle costruite sull’improvvisazione dei fuoriclasse».
àˆ in questo che Spagna e Olanda sono state più brave di Argentina e Brasile?
«La vera differenza non l’hanno fatta i colpi dei campioni, ma la loro disponibilità nel mettersi al servizio della squadra. Tutti hanno imparato a stare in campo e non si passeggia più nemmeno contro la Nuova Zelanda».
Ora il rilancio della Nazionale tocca a Prandelli, che ha subito aperto agli oriundi.
«Ci può stare, ma non mi piacciono gli escamotage. Valuterei caso per caso, purché si tratti almeno di giocatori più italiani che stranieri».
Vede in giro ventenni destinati al successo e magari alla maglia azzurra?
«Qualcuno bravo c’è. I nomi non li faccio, per rispetto verso Prandelli».
Saranno scelte limitate, però: c’era una volta il campionato più bello del mondo.
«La serie A ha sempre il suo appeal: equilibrio, intensità , mai un risultato scontato. Ci sono le premesse per ripartire».
Aiuterebbe anche qualche stadio più moderno?
«Tutto è utile: anche gli stadi di proprietà , generando ricchezze da reinvestire su programmazione e giovani. Lo dico sempre ai miei giocatori: dietro alle vittorie c’è un lavoro di anni, non basta comprare un campione».
Marco Azzi
la Repubblica