Anna Grigor'evna Dostoevskaja
"Dostoevskij, mio marito"
Così le preoccupazioni di Dostoevskij non avevano mai tregua: come trovare il danaro per pagare gli interessi delle cambiali e per soddisfare i bisogni dei parenti? Questa condizione di cose mi dava non poco pensiero. Mi consolava l’idea che, appena sposata, avrei preso il governo della casa nelle mie mani e avrei regolato i sussidi ai parenti, stabilendo per ognuno una cifra annua. I figli di Emilija Fëdorovna erano già grandi e potevano aiutarla. Il fratello Nikolaj Michajlovi? era un architetto di talento e, volendo, avrebbe potuto lavorare. Quanto al figliastro, era veramente tempo, a ventun anni, di pensare a lavorare e non vivere a carico del padrigno malato e pieno di debiti.
Tutta questa gente mi faceva indignare, perché vedevo che le preoccupazioni materiali turbavano il buonumore di F.M., e soprattutto, erano dannose alla sua salute.
I continui dispiaceri irritavano il suo sistema nervoso e gli attacchi di epilessia si facevano più frequenti.
Il mio sogno era che Dostoevskij si rimettesse completamente in salute e potesse conservare il suo buon umore e la sua energia.
Essendo sempre sotto la pressione dei debiti, F. M. era costretto a offrire lui stesso i suoi lavori, che così gli venivano pagati molto meno di quel che ricevevano gli scrittori benestanti, come Turgenev, Gon?arov e altri. Mentre F. M. riceveva 150 rubli, Turgenev era pagato dalla stessa rivista 500 rubli. Ma più penoso di tutto per me era il fatto che, a causa dei suoi debiti, F. M. dovesse sempre scrivere in fretta e non avesse mai né tempo né possibilità di rivedere le sue opere per dare ad esse una forma più elegante; il che gli procurava parecchi dispiaceri.
I critici gli rimproveravano spesso la forma negletta, il fatto che, nello stesso romanzo, si trovavano inseriti diversi soggetti, la confusione di avvenimenti non sempre conclusi. Questi critici severi non sapevano certo in quali condizioni fossero stati scritti i romanzi di Dostoevskij. Avveniva spesso che le prime tre parti di un’opera erano già stampate, la quarta in tipografia, la quinta appena spedita e l’autore stava scrivendo la sesta senza avere ancora pensato al resto.
Quante volte fui testimone del sincero scoraggiamento di F.M., accortosi di aver sciupata una idea, quando non c’era più possibilità di rimediare.