in meno di un mese mi sono ingurgitato le sei stagioni dei Soprano.
Errore imperdonabile non averli mai visti prima e solo per lo stupido pregiudizio che si trattassero della solita americanata sulla mafia italiana. Invece è un prodotto di ottima qualità, forse la migliore serie degli ultimi dieci anni.
Straordinaria, non c'è che dire!
ho trovato un articolo di Saviano del 2007, che penso di poter condividere in larga parte
SpoilerLa Repubblica dei SOPRANOs
È la fiction più amata nel mondo ma l'Italia l'ignora. Perché demolisce il mito dei boss, mostrando la mafiosità della vita e del potere. Mentre da noi si preferisce ammirare padrini forti e arcaici
E lei il signor Roberto Soprano? Credo di non aver capito e così non rispondo sperando mi riformulino la domanda. "Roberto Soprano noh?". Credo sia uno scherzo ma ho di fronte una lettrice tedesca, sono al festival della letteratura di Berlino, tutto mi aspetto fuorché battute. E non è una battuta, aveva confuso il mio cognome con quello di Tony Soprano, il boss italo-americano della serie televisiva più famosa del mondo, 'I Sopranos' appunto. "Saviano, non Soprano", e non sarà l'unica volta in cui all'estero mi troverò nella necessità di precisare. "Il suono è uguale...", mi si risponde.
I Soprano in Europa, soprattutto nell'Europa del nord sono una sorta di mito, hanno battuto i Robinson, Arnold, i Puffi. Sono la serie televisiva più vista della storia e sono, per chi non si fosse mai imbattuto nelle loro storie, una famiglia mafiosa di origini campane, stranamente proveniente dall'Irpinia. Una famiglia normale, che vive nel New Jersey, non più le baracche verticali del Bronx italiano, ma le villette a schiera della nuova borghesia delle seconde e terze generazioni di immigrati. E le loro sono storie di clan, di affari e di morte, di donne, tradimenti, droga, estorsioni. E di viaggi. E di Italia, un'Italia che agli italiani non piace sia raccontata così, spietata e balorda, perennemente procreatrice della genialità criminale del mondo. La fiction prodotta dalla Hbo è diversa dalle altre, per la qualità degli attori. Per l'incredibile capacità di riprendere le caratteristiche dei protagonisti, una sorta di continuo reportage antropologico. Le battute dei personaggi poi sono leggendarie, come quando il vecchio padrino della famiglia si scopre pratichi cunnilingus alla sua amante, cosa assolutamente vietata a chiunque passi per qualsiasi grado di affiliazione. Tabù indiscusso per qualsiasi boss della mafia italiana da New York a Casal di Principe. E Tony Soprano dice appena si avvicina al vecchio zio: "uhi, sento odore di sushi...".
'I Sopranos' hanno avuto un'enorme successo in Germania, Olanda, Svezia, Finlandia; quasi ovunque tranne che in Italia. In Italia sono finiti sul satellite e poi lasciati quasi a metà. Non hanno incuriosito, non sono sembrati parte del racconto della realtà. Ma l'aspetto più importante, forse quello che non è stato capito e apprezzato da noi, è che 'I Sopranos' hanno rivoluzionato radicalmente l'immaginario e il modo di raccontare delle mafia. James Gandolfini non interpreta più il boss carismatico alla Brando o Al Pacino del Padrino e nemmeno quelli violentissimi ma sempre duri di Goodfellas, Casinò o altri film di Scorsese. Tony Soprano è un personaggio problematico, oppresso da incubi - ed è la prima volta che si pensa di raccontare i sogni di un boss di Cosa nostra - che addirittura cerca l'aiuto di uno strizzacervelli, figura che appartiene alla tradizione narrativa ebraica e non certo a quella mafiosa. 'I Sopranos' sono il mito della mafia ribaltato, destrutturato e rimesso assieme secondo regole nuove: e come oggi accade spesso, soprattutto per le produzioni statunitensi, la televisione diventa il mezzo più innovativo sia nei contenuti che nelle caratteristiche formali, rispetto al cinema. Perché dire che 'I Sopranos' sono la versione bassa, comica, della grande epica tragica mafiosa, che sarebbero come Aristofane rispetto a Sofocle, centra un punto nodale, ma pare riduttivo. Forse le comunità italo-americane degli Stati Uniti non si sentirebbero così insultate e vilipese dalla famiglia di James Gandolfini, se veramente 'I Sopranos' non fossero altro che un simpatico - ma per loro antipatico - sfottò. L'immaginario de 'Il Padrino' inchioda gli italo-americani alla mafia, ma al tempo stesso la rende epica e grandiosa, la tinge in una luce di violenza, ma anche di gloria. E quindi la reazione è ambigua. Solo 'I Sopranos' entrano nella narrazione per smitizzare - a partire dall'ambientazione nella suburbia del New Jersey che prende il posto di New York, Chicago, Los Angeles o Las Vegas - e invece a modo loro creare un nuovo mito. La famiglia criminale della porta accanto, ossia gente come me e te, che litiga, ha problemi con i figli, e soprattutto lavora sodo; solo che lo fa aggiungendo al telefonino e al computer l'uso del fucile.
'I Sopranos' sono divenuti una sorta di specchio per l'America e non solo. Una sorta di 'noi', uno di quei fenomeni artistici plurali. 'I Sopranos' come noi perché noi siamo disposti a rispecchiarci nei Soprano. La mafia come norma, come qualcosa a portata di mano: la mafia che siamo noi, noi tutti quanti. Ed è questo che irrita le comunità italoamericane e forse è anche la ragione perché 'I Sopranos' non sono mai piaciuti tanto qui da noi. A noi andavano bene un tempo 'La Piovra', ora 'La Squadra' e il 'Commissario Montalbano'. Persino una fiction su Totò Riina. Ma offrirci i mafiosi come specchio tragico-comico di noi stessi, questo no.
Certo è più facile divertirsi con Tony Soprano ad Helsinki che a Platì, a Casapesenna o a Corleone: dove di mafia si muore tutti i giorni, dove il potere dei clan regna sovrano è difficile vederli con autoironia. Eppure c'è qualcosa di ambivalente in questo rifiuto, perché la narrazione drammatica, solo drammatica, persino nei più scontati e dozzinali prodotti seriali nostrani, conserva alla mafia il suo alone di mito e di potere assoluto. Per noi - da Bolzano a Canicattì - i mafiosi devono continuare ad essere molto arcaici, forti, soprattutto cattivi, solo cattivi. Non vanno dallo psicanalista. Non vengono mollati dalla fidanzata. Non sono - Dio ce ne scampi - gay, non hanno la figlia di sinistra che si fidanza con un 'cioccolattino' come lo definisce Tony Soprano. Ovviamente anche 'I Sopranos' vendono quel che abbiamo di più richiesto, invidiato e imitato in Italia oltre alla moda: la mafia. Ma rigirano l'immaginario mafioso come un guanto. E senza intaccare l'immaginario di mafia, vero e proprio strumento di propaganda planetaria non solo per quella italiana o di origine italiana, non sarà possibile intaccare una parte del suo potere. E che loro trattino soprattutto del potere e soltanto in un secondo livello della mafia è dimostrato dalla bizzarra scelta di Hillary Clinton di girare uno spot in cui lei impersona la moglie di Tony Soprano e Bill Clinton, Tony Soprano stesso. Ricalcano l'ultima enigmatica puntata della serie, quella vista da milioni e milioni di cittadini statunitensi che fa quasi presagire un possibile attentato ai danni dell'intero nucleo familiare. Ebbene Hillary lascia, con la solita ironia salvatutto degli americani, intuire che lei è come Carmela, la moglie di Tony che più di ogni altra cosa ama la famiglia e gli interessi della famiglia. Solo che nel caso della candidata alla Casa Bianca la famiglia sarebbe l'intero popolo americano. La forza ovviamente epica americana ha permesso a questa fiction di raccontare meglio di qualsiasi altra forma la trasformazione di una sensibilità, cosa che Hillary Clinton ha capito e ha saputo giocare a proprio vantaggio.
Chissà se Antonio Bassolino e Rosa Russo Iervolino, attentissimi circa l'immagine di Napoli, hanno mai visto la puntata dei Soprano su Napoli. Dovrebbero farlo anche con solerzia. Una puntata andata in onda molto tempo fa e che per milioni di americani è stata una della più viste e amate. I Soprano, che sono appunto molto più vicini a Napoli che a Palermo, che fanno gli affari classici della camorra, cemento, rifiuti, riciclaggio di auto rubate, estorsioni arrivano a Napoli per business e per alleanze con le famiglie camorristiche. E a Napoli i killer italoamericani si sentono minuscoli, loro che vengono dalla periferia di New York finalmente giunti al centro del crimine mondiale. Così sembra emergere dalla puntata, intitolata proprio 'Viaggio a Napoli'. E i Soprano sono in totale soggezione dei camorristi napoletani, sono completamente sconcertati dalla facilità con cui si spara e si uccide. Dinanzi ad un bambino che viene picchiato da un boss, Tony Soprano resta sconvolto. Ma qualcuno gli risponde "non vi preoccupate questa è l'università di Napoli". E così tra mangiate di pesce, e una bellezza di luce e mare che i boss venuti dall'America non finiscono per definire "incredibile", Napoli diviene negli occhi dei Soprano la cupola del potere. Attraverso la fiction si arriva al racconto di una realtà che in Italia per troppi anni si è sottovalutata e scacciata sotto il tappeto della bellezza come presenza eterna e consolante.
Ma i Soprano sono veri americani: l'antica bellezza del luogo li affascina, ma non li inganna. A un certo punto si presenta a fare a affari con Tony Soprano una donna di camorra. E lui, sempre pronto alla gaffe, non si trattiene dal commentare: "Da noi una donna non sarebbe mai un boss". Nel mondo de 'I Sopranos' ci sono i gay, lo psicoanalista, un possibile genero di colore. Ma quando si tratta della gestione del potere, del potere vero, Napoli, da vera capitale del business, rimane avanti. Le fiction riescono a volte più di altri strumenti a raccontare il mondo e far identificare Hillary Clinton nelle dinamiche di una famiglia che viene dai dintorni di Ariano Irpino e chiede a Napoli e ai suoi boss di salvare la mafia italiana in crisi negli Usa. Una fiction prima della politica, dei media, dell'inchiostro dei aggi.
Ora, per non perdere il gusto guarderò questa serie "Brigada", storie di mafia russa. Qualcuno l'ha già vista?