È una serie uscita senza clamore nel 2019, a basso budget, otto episodi, prima stagione, visibile su Netflix, ideata dai produttori di Z Nation (e NYPD), serie a tema zombie come questa, ma che con Black Summer non ha nulla a che spartire: non è un prequel della stessa, né ha elementi che hanno caratterizzato l'impronta data a Z Nation: quelli propria di Zombieland per intenderci tendenti alla commedia e al gore. Non si tratta di un capolavoro, non siamo al livello delle primissime stagioni di The Walking Dead che restano qualcosa di inavvicinabile prima del declino totale della stessa serie, ma senza dubbio Black Summer può essere definita attualmente la migliore serie zombie (drammatica) in circolazione e lo è per i seguenti motivi. Non ci sono storylines pesanti che sfociano in telenovele ammorbanti alla The Walking Dead. Ci sono sopravvissuti che scappano e la fuga è resa in modo realistico attraverso un approccio intelligente delle riprese e delle inquadrature, in modo diretto e senza orpelli (molto belle le scene della fuga e il suono di sottofondo degli aerei percepito come minaccia). I protagonisti hanno poche battute e le storylines sono tutte collegate e segnate dall'immediatezza nonché suddivise in brevi e convincenti capitoli, espediente quest'ultimo ripreso pure da TWD nella prima puntata della decima stagione. Gli zombie non sono quelli di Romero o di The Walking Dead. Sono più simili a cadaveri rabbiosi in stile "28 giorni dopo". La bellezza estetica zombesca di trucco e parrucco dei vaganti ovviamente non c'è, ma sono la lotta per la sopravvivenza, l'adrenalina e le trovate sceniche che rendono questa serie qualcosa di nuovo, fresco e originale, finalmente qualcosa che si affranca dalla orribile deriva di TWD. Proprio quando pensi che non sia rimasto più nulla di spaventoso negli zombie, arriva questo. Un inferno esistenziale da sobborgo, mostrato fino alle ossa: parola di Stephen King.