Per la gioia del mio socio Frevi

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Talvolta Benitez dimentica l’italiano
Scritto da Ivan Zazzaroni
In Europa è differente. O forse era.
Oramai hanno cognomi famosi, ma per noi saranno sempre Antonio, Walter, Vincenzo, Andrea, Giampiero, Roberto, Stefano, Francesco, Max, Eusebio, Davide, Eugenio, Gigi, esponenti di una scuola, Universitalia, che esalta l’arte di arrangiarsi in tutte le sue forme spingendo a fare con quel che si ha e si può. Perfino i loro colleghi che hanno fatto più strada, Fabio (Capello), Carlo (Ancelotti), Luciano (Spalletti), Roberto (Mancini) e Claudio (Ranieri), applicano spesso i princìpi-base dell’istituto nonostante i tanti successi ottenuti e le ricchezze meritate – a Universitalia insegnano prima di ogni altra cosa a preparare la partita come fosse l’ultima, a giocare innanzitutto sull’avversario, a studiare anche i particolari apparentemente insignificanti.
Ho pensato soprattutto ad Antonio e Roberto (il cui tattico è di prim’ordine) seguendo Juve-Napoli e Napoli-Parma, ovvero le sfide perse malamente dal pluridecorato Benitez, l’internazionale: Rafa ha presentato ai colleghi il solito Napoli europeo e qualche correzione l’ha dovuta fare durante la gara, Conte e Donadoni i cambiamenti li hanno mostrati fin dall’inizio. Il primo – ne sottolineo uno – ha preteso da Tevez e Llorente che lavorassero pesantemente in fase di non-possesso su Behrami e Inler, annientandoli; il secondo è passato al 4-1-4-1 dove l’appendice finale era Cassano investendo sulla costante superiorità numerica in mezzo.
Stimo Benitez, rispetto il suo fantastico palmarès, gli suggerisco però di ricordarsi una volta di più che è tornato a lavorare in Italia dove – sintetizzo – si gioca peggio che dalle altre parti proprio perché gli allenatori contano più che altrove.
Non si offenda.