La grande bellezza è una patacca, tappezzeria da salotto, moda smorta, un purpettone in cerca di sceneggiatura.
Sorrentino non è nato così, ha girato film grondanti di passioni vive e muniti di una certa coerenza stilistica (penso ad esempio a l'Amico di famiglia). Ora invece il suo cinema pare irrimediabilmente avvizzito dall'ambizione di non so quale massimalismo, e in certi sbiribizzi di surrealismo naif e citazionismo ammiccante più che Fellini, sacrilegamente richiamato in giro, mi pare il pari con gli intellettualoidi che egli stesso deride.
Così il film è un elefante in una stanzetta che chiava ininterrottamente botte al muro prima di accartocciarsi in una rovinosa caduta, e forse tale si può definire l'imbarazzante sequenza finale della suorellina ottuagenaria, che è lo spruzzo finale di sciorda su un quadro antropologico trito e ritrito, banalotto e pure assai sgraziato nella metafora criptica.
Per me un filmaccio inerte, pretenzioso e fastidioso.