VARESE Ezio Glerean, dal 1996 al 2002 allenatore e papà del Cittadella, è anche il genitore sportivo di Rolando Maran, in culla da mister nel vivaio padovano grazie alla sua benedizione. Dal 2002 al 2005, il nostro Maran ne eredita la panca in perfetto stile Citta, un sistema calcio speciale retto dalla dinastia Gabrielli: dallo scomparso papà Angelo, ai figli Piergiorgio e Andrea, attuale presidente.
Glerean, chi è Rolando Maran?
Per me è Rolly, un amico che sento spesso: l'ultima poche sere fa, in una trasmissione sportiva. L'ho salutato con l'in bocca al lupo più grosso possibile.
Com'è nato il legame?
Il primo contatto quando io giocavo a Trento e lui iniziava la carriera da calciatore. Passano gli anni, Rolly smette e vuole provare ad allenare: fui felicissimo di poterlo consigliare e prendere per le giovanili, come di vederlo al mio posto quando andai al Palermo.
Passo indietro: Maran entra nel mondo Cittadella.
Il progetto, mio e dei Gabrielli, era un metodo Ajax fatto e finito, che poi prosegue tuttora. Vuoi per mia moglie Caroline originaria di Amsterdam, vuoi per le mie idee, l'impronta era quella: infatti, come mister della prima squadra, curavo il settore giovanile nel ruolo di supervisore, partecipando alla vita del vivaio dalla scuola calcio alla Primavera. Lo scambio con gli allenatori era continuo, il confronto non ne parliamo. Rolly, forse perché alle prime armi, si dimostrò molto portato per il lavoro con i giovani: era uno che ascoltava, vedeva e capiva.
Definiamolo in una frase.
Un neo allenatore già allenatore, per la precisione e la serietà richieste dal ruolo. Uno di volontà e capacità: il prosieguo, i risultati, gli hanno dato ragione.
Metodo Ajax o Barça significa stesso modulo per tutti?
Sì per le formazioni minori, no per la Primavera, dove devi fare risultato: non sarebbe giusto snaturare il metodo di chi la guida. Fu il caso di Maran: io avevo e ho la mia idea di 3-3-4, lui gioca con difesa e centrocampo classici a quattro. Da quelle nidiate, lo dico con orgoglio, sono usciti un sacco di ragazzi pronti per il professionismo.
A Maran sente di avere trasmesso qualcosa?
È un pratico, uno che non fa voli pindarici. Gli ho passato questa serietà e la caratteristica di far partecipare i giocatori a decisioni e scelte. Da me ha preso questo senso di collaborazione, con i ragazzi e la società, con cui si pone non da allenatore, ma da persona che vuole sapere a tutto tondo.
Ha visto il suo Varese?
All'esordio, a Vicenza. Ha preso un gruppo quasi disperso e l'ha portato ai vertici: bastano i numeri, anche quelli del particolare Grosseto-Varese, storia a sé.
Il Citta?
Lo vedo ogni due sabati al Tombolato. Da prendere con le molle, ha un gioco definito e ti attacca anche fuori casa. Foscarini e Marchetti proseguono sul sentiero tracciato da noi: entrambi vengono dal vivaio come Rolly. Sono due squadre che giocano a pallone, immagino una partita difficile per tutti.
Piuttosto, lei? I sabati al Tombolato suggeriscono l'inattività.
Aspetto una chiamata. Prima e seconda divisione sono un disastro come organizzazione e personaggi, un mondo allo sbando. Mentre la B per ora è chiusa. Mi spiace, ma è il calcio attuale, dove non basta la meritocrazia e devi guardare oltre. Così non va bene, e andrà sempre peggio: bisogna ridare il giocattolo alle persone di estrazione sportiva, non a procuratori e affaristi. Guardiamo le nazionali giovanili: non c'è talento e fanno tutte fatica.