Quello che più adoro di queste serie è il coinvolgimento che lega lo spettatore al protagonista. Un coinvolgimento cerebrale, ludico. Perché quando Frank ci guarda e si rivolge direttamente a noi, ci ricorda che c’è un “noi” e un “loro”: se il voice over è lo strumento che più facilmente permette la compenetrazione spettatore-protagonista, l’interpellazione è la mossa cinematografica che spezza per sempre qualunque possibile empatia, alzando un muro tra il “di qua” e “di là” dello schermo. Frank non ha cuore e a compensare la totale assenza di sentimento nei confronti del personaggio (e furbescamente a proteggerci dal male commesso senza doverlo ipocritamente giustificare) c’è il desiderio di rivincita nei confronti del potere istituito, fantasia di cui subiamo sempre il fascino. Di conseguenza più che identificarci con la storia di Frank è come se giocassimo la partita con lui: di Frank a noi non interessa nulla, desideriamo soltanto vederlo vincere.
Un'affresco quanto mai attuale