Sono d'accordo con Bruce Colotti riguardo al ruolo dell'intellettuale, all'interno di una comunità. Figure come Luigi Compagnone o Domenico Rea, grandi scrittori-giornalisti che erano rimasti a Napoli, valorizzavano la nostra città, la rendevano più centrale e al tempo stesso aperta e cosmopolita, capace di raccontarsi a se stessa e al mondo in modi che dribblavano, magari qualche volta sfiorandoli, i luoghi comuni, positivi e negativi, che da sempre imprigionano Napoli.
Negli ultimi lustri c'è stato un impoverimento e un degrado della vita culturale, politica e sociale della città (pur rimanendo ancora molto di vivo e di buono), che ha coinciso con un suo declino, un venir meno di quella capacità di essere una capitale del mondo, che pur tra problemi drammatici, Napoli aveva sempre mantenuto.
Purtroppo Erri De Luca, che pure, se non ricordo male, motiva la sua scelta di allontanarsi da Napoli con serie motivazioni politiche, roba di terrorismo o cose del genere, cade in un ritratto della città oleografico e retorico che può essere vero soltanto per qualche turista di passaggio, che finisce per suonare come uno schiaffo a chi vive quotidianamente una realtà che si fa ogni giorno più dura.
Senza dubbio la diffusa povertà, disoccupazione e sottooccupazione non sono tra le ultime cause della disponibilità di pietanze semplici e sfiziose a poco prezzo, che effettivamente sono uno dei punti a favore rispetto alle altre grandi città da Roma in su.
L'oleografia di sole, mare, pizza e mandolino ha per tanti anni nascosto la realtà di Napoli città industriale, la prima d'Italia al di fuori del triangolo Genova-Torino-Milano. Il periodo d'oro del bassolinismo aveva rappresentato proprio l'illusione della città di reagire alla crisi e smantellamento dei propri siti industrali trasformandosi in una città moderna centrata su terziario, servizi, cultura e turismo. Una trasformazione risoltasi, al momento, in un fallimento, del quale sicuramente l'incompetenza e affarismo della classe dirigente (politica e non solo) locale non è l'ultima causa.
La mia opinione è che l'uscita della città dalla sua crisi può essere rappresentata solo da una ripresa del protagonismo dei cittadini e dalla loro auto-organizzazione, impossibile ormai affidarsi a uno Stato e istituzioni pubbliche in bancarotta permanente, e che, se pure ogni tanto si trovano qualche euro in tasca, non possono certo fare a meno di versarlo nelle tasche dei potenti, dei notabili di turno. E anche inutile sperare più di tanto in una classe imprenditoriale dai limiti enormi, con pochi capitali e ancora meno visione, dipendente a sua volta dallo Stato quando non dalle organizzazioni criminali.
Devono moltiplicarsi le occupazioni degli spazi sottratti alla cittadinanza, bisogna dare forza al volontariato, l'associazionismo, il cooperativismo, il privato sociale, in una versione più limpida e pulita di quanto a volte avvenga oggi. Ci vule una grande rinascita civica, uno sforza di generosità collettiva, altrimenti davvero questa città, spiace dirlo, si avvia a marcire, iniziando dai nostri preziosi monumenti, fino al futuro dei giovani che ancora, dalle nostre parti, rappresentano una gran parte della popolazione.