Brandon ha un problema di dipendenza dal sesso che gli impedisce di condurre una relazione sentimentale sana e lo imprigiona in una spirale di varie altre dipendenze. Dopo il già ottimo Hunger, il regista irlandese Steve McQueen torna a sferrare colpi allo stomaco del pubblico, mostrando ancora una volta il livello di mortificazione che un uomo può autoinfliggersi. Shame esamina la dipendenza sessuale ma potrebbe considerarsi paradigmatico per le dipendenze tutte: dolore esistenziale, rifugio nel vizio, crollo. La scelta dell'ambito erotico non è però casuale, serve a prendere in contropiede lo spettatore, sottraendogli la possibilità di biasimare le azioni del protagonista. Uomo in carriera, volto carismatico, socialmente integrato nell'alta borghesia newyorkese, capace di giacere con chiunque desideri. L'immagine del successo, con un'attitudine alla seduzione che è generalmente ritenuta un genuino strumento d'affermazione dell'Io nel mondo e che si rivela invece mezzo per l'autodistruzione. Il tentativo di risolvere le sofferenze di un animo lacerato stordendolo e spingendolo verso l'anaffettività.
McQueen mostra tutto con un occhio spietato ma mai inopportuno. Mette in campo il disdicevole se è significativo, distoglie lo sguardo prima che diventi un provocativo ostentare. Realizza un'opera monolitica, nella quale ogni elemento si incastra perfettamente nel tutto senza mai ridursi ad una funzione puramente strumentale. Ne è la massima espressione Carey Mulligan, personaggio chiave per l'evoluzione del racconto esteriore ma anche dal chiaro contenuto metaforico: è l'umanità del fratello Brandon che chiede di non essere soppressa.
McQueen è uno dei più importanti autori contemporanei.
Voto: ****