Autore Topic: Dell'Utri mediatore tra Berlusconi e la mafia  (Letto 9260 volte)  Share 

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falceEmarcello

Dell'Utri mediatore tra Berlusconi e la mafia
« Risposta #80 il: 26 Aprile, 2012, 08:35:09 am »
Che tristezza sentire parlare gli economisti mamma'
Gente rassegnata alla globalizzazione e al liberismo
Ma in quei cazzo di libri inutili che studiate perché non c'è scritto che non DEVE essere così.
chi lo ha deciso ?
Chi c'è lo ha chiesto ?
« Ultima modifica: 26 Aprile, 2012, 13:10:45 pm da F&Marcello »

Offline metaversus

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Re:Dell'Utri mediatore tra Berlusconi e la mafia
« Risposta #81 il: 26 Aprile, 2012, 13:09:11 pm »
a proposito di mafia, fatevi 'na risata con questa perla di Luigi Cesaro: Il presidente odia la grammatica
«Il presidente della Provincia di Napoli on.  Luigi Cesario , consiglio provinciale ed il presidente del consiglio partecipano al dolore che ha colpito al sindaco senatore  Luigi Bobbio per la perdita della cara mamma. Castellammare di Stabia 2012 Cesarano Gragnano».
 
Questa frase, testuale, sintatticamente sgangherata e con più errori di grammatica, campeggia da qualche giorno su un manifesto listato a lutto, attaccato in centinaia di copie in giro per Napoli e, appunto, Castellammare, Gragnano e Cesarano.
Luigi Cesario è in realtà  Luigi Cesaro (errore di stampa) che, per mano zelante di qualche suo galoppino, ha voluto rendere il triste omaggio. Un galoppino che ha appunto sbagliato il nome del capo, mal assemblato la pur semplicissima frase, sbagliato la grammatica inserendo una preposizioni articolata («al») al posto di un articolo («il») e, insomma, le ha sbagliate tutte.

L'articolo segue con la cronistoria della vita mafiosa di questo personaggio, ma questo, ovviamente, è un altro capitolo

"Appartengo per nascita a quella gente accampata sotto un vulcano attivo. Conosciamo lunghissime pazienze e fuochi spenti. Ma quando arriva al bordo la colata di collera, la città si ritrova densa e compatta come lava. Nessun sismografo l' avverte quando è pronta e allora guai a chi tocca" Erri De Luca

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Re:Dell'Utri mediatore tra Berlusconi e la mafia
« Risposta #82 il: 18 Giugno, 2012, 12:20:08 pm »
http://www.ilmoralista.it/2012/06/16/la-seconda-repubblica-figlia-del-ricatto/

LA SECONDA REPUBBLICA, FIGLIA DEL RICATTO
La procura di Palermo ha inviato l’avviso conclusione di indagini a molti personaggi del mondo politico italiano protagonisti del sanguinoso passaggio tra la prima e la seconda repubblica costata la vita ai giudici Falcone e Borsellino, nonché a moltissimi altri poveri innocenti. L’idea che quelle mattanze fossero esclusiva responsabilità di Cosa nostra è assolutamente fuori dalla realtà. Anni di indagini hanno dimostrato l’incestuosa familiarità tra politica, mafia e apparati dello Stato. La trattativa tra mafia e Stato, nonostante le continue mistificazioni di un sistema mediatico in mala fede, che copre spesso volutamente i protagonisti di quella orribile stagione, è un dato oramai certo e acclarato. I direttori responsabili dei principali mezzi di informazione che continuano nonostante tutto a lavorare senza sosta per impedire che la verità emerga, andrebbero immediatamente processati per concorso esterno in associazione mafiosa. Dubito che accadrà. Questo Paese è oramai così marcio da consentire ai mafiosi apicali di perseguire burocraticamente e mediaticamente chi insegue la verità. Il tritolo per fare fuori le voci scomode non serve più. Bastano gli editoriali e la carta bollata. Nicola Mancino, ineffabile ex vicepresidente del Csm, indagato perché sospettato di avere mentito ai  pm, avrebbe esercitato pressioni perfino sul Quirinale. Giuseppe Pipitone, sul Fatto Quotidiano, riporta alcuni contenuti di una telefonata intercorsa tra Mancino e il magistrato Loris D’Ambrosio, consigliere di Giorgio Napolitano, nella quale l’ex ministro dell’Interno campano lamenterebbe una condizione di improvviso isolamento. “Un uomo solo va protetto”, riporta Pipitone il virgolettato dell’intercettazione, “perché se questo uomo rimane tale potrebbe chiamare in causa altre persone” (clicca per leggere). Ecco come si esprime al telefono un ex vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura, con fare allusivo e chiaramente ricattatorio nei confronti dei vertici istituzionali di questo nostro povero Paese. Cosa potrebbe dire Mancino che deve invece restare celato? E chi sono questi personaggi che potrebbero vedere definitivamente offuscato il loro finto prestigio, nel caso parlasse, per sprofondare invece nell’ignominia eterna? Ma che spettacolo è mai questo. Come possano accettare i cittadini italiani che tali meccanismi, tipici di quei mondi che lo Stato afferma ipocritamente di voler combattere, vengano promossi impunemente da uomini che usurpano la democrazia e violentano la civiltà? Alla luce di queste nuove iscrizioni nel registro degli indagati si capisce meglio l’ansia dei vertici della Stato di bloccare anni fa l’indagine catanzarese Why Not. Genchi disse che in quella indagine comparivano personaggi già attenzionati ai tempi delle stragi e ora, grazie al coraggio di pm come Ingroia e Di Matteo, il senso di quella analisi è molto più chiaro. Per impedire che la procura di Salerno indagasse su quella di Catanzaro, che aveva sfilato il fascicolo di indagine al pm procedente Luigi de Magistris (ora stranamente silente), intervenne allora perfino il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano che, con un atto senza precedenti, decise di “chiedere gli atti di indagine alla procura salernitana”. I pm campani Apicella, Nuzzi e Verasani, convinti che la legge fosse per davvero uguale per tutti, subirono pesantissime ritorsioni per non essersi fermati di fronti ai luoghi sacri del potere intoccabile. Mi auguro che questa volta i pm palermitani non subiscano la stessa sorte, magari colpiti da quello stesso Csm costituzionalmente chiamato a difendere l’indipendenza dei magistrati. Ma la verità va cercata fino in fondo e senza riguardi per nessuno. Il sangue degli innocenti caduti negli anni delle stragi non avrà giustizia fino a quando gli inquirenti non saranno in grado perseguire anche quegli uomini che contribuirono a depistare il processo sulla strage di via D’Amelio. Siano essi magistrati o uomini delle forze dell’ordine. La seconda Repubblica è fallita perché nata sotto il marchio della collusione, dell’ipocrisia, dell’infamia e del ricatto. La terza, per essere diversa, deve poggiare becessiaramente su basi di verità. A qualunque costo.




http://www.ilmoralista.it/2012/06/17/i-media-si-interroghino-sul-possibile-significato-delle-bombe-nelle-chiese-di-san-giovanni-e-san-giorgio/

I MEDIA SI INTERROGHINO SUL POSSIBILE SIGNIFICATO DELLE BOMBE NELLE CHIESE DI SAN GIOVANNI E SAN GIORGIO
“Le bombe di Roma del 1993 che colpirono le chiese di San Giorgio al Velabro e San Giovanni in Laterano contenevano due messaggi occulti per i presidenti delle Camere dell’epoca, Giorgio Napolitano e Giovanni Spadolini”. Questa chiave di lettura offerta in tempi non sospetti dal consulente informatico (ora avvocato penalista) Gioacchino Genchi (clicca per leggere) andrebbe ora opportunamente approfondita, anche alla luce delle ultime notizie pubblicate dal Fatto Quotidiano, per la firma dell’ottimo Marco Lillo, circa lo scomposto intervento del Presidente Napolitano presso il procuratore generale della Cassazione Vitaliano Esposito su input di un Nicola Mancino evidentemente preoccupato dall’ evoluzione dell’inchiesta palermitana sulla trattativa Stato-mafia. “Un uomo solo può parlare…”, minaccia chiaramente l’ex vicepresidente del Csm al telefono con Loris D’Ambrosio, consulente giuridico del Quirinale. Ma Mancino solo non è, visto che il Colle si è preso poi effettivamente la briga di intervenire per tentare di allontanare i pericolosi fantasmi che popolano la mente di Mancino, ex ministro dell’interno al tempo dell’eccidio di Via D’Amelio. Oramai è chiarissimo: gli equilibri di potere della seconda Repubblica sono il risultato del biennio delle stragi. Le istituzioni faranno perciò di tutto per impedire che la verità possa emergere, mostrando così all’improvviso il volto mostruoso di un potere che affonda le sue lugubri radici nere sul terreno bagnato dal sangue di quei poveri martiri che, ipocritamente, annualmente commemora. La morte di Paolo Borsellino somiglia a quella di Giacomo Matteotti, ucciso per responsabilità di un regime che non può punire se stesso. Solo adesso si allungano pesanti ombre sulla figura di Oscar Luigi Scalfaro, per anni spacciato come esempio di rigore e onestà da tanti giornalisti degni dell’istituto Luce. Ai media non interessa capire per davvero cosa è successo, semplicemente perché lo sanno benissimo. L’oligarchia politica, informativa e giudiziaria che ha ricreato le condizioni per il riaffermarsi in Italia di un nuovo fascismo più ipocrita e abietto, esercita un violento e diffuso dominio proprio in virtù del silenzio complice e interessato che garantisce sulle vicende stragiste. I poteri di controllo in realtà non  difendono la politica, difendono se stessi. I grandi giornali hanno pubblicato la smentita del Quirinale senza avere prima diffuso la notizia riguardante le pressioni in favore di Mancino. Il Fatto Quotidiano rappresenta una lodevole eccezione, e anche se raramente ho provato empatia per le ragioni di Marco Travaglio, che troppo spesso mi ricorda la figura del commissario Javert de I Miserabili, riconosco al suo giornale un ruolo di avanguardia in questa nuova e obbligata resistenza per la giustizia, la libertà e la dignità. Il prossimo anno scadrà il settennato di Napolitano, circostanza che, con ogni probabilità, determinerà inerzialmente considerevoli passi in avanti nella direzione della definitiva scoperta di quelle ragioni indicibili che determinarono la morte di Falcone e Borsellino, ma garantirono al contempo ad altri illustri personaggi di ricoprire indisturbati per anni ruoli di assoluto e immeritato prestigio.